LA CULTURA ANTIDEMOCRATICA CHE È IN NOI … di Sergio Pizzolante

Sergio Pizzolante

Un recente studio dimostra quello che molti di noi già sapevano. La democrazia non va più di moda in Italia. Il 52 per cento degli italiani ne diffida. Non piace più, come prima, nel mondo. Molti ritengono che i successi nella lotta alla epidemia e per la crescita economica dei paesi con regimi autoritari dimostri che la democrazia è freno, perdita di tempo, corruzione, anche. Soprattutto.

D’altronde sempre, sempre, le culture autoritarie si sono affermate per “combattere la corruzione”. E l’inefficienza, degli altri. Abbattendo così, con questi mezzi, le istituzioni democratiche. I parlamenti.
Valeva per Rousseau, tornato di moda in Italia, per Il’in, il filosofo bianco russo, che si trasferì nella Germania nazista, tanto amato oggi da Putin, era così per Lenin e Stalin e Mussolini.
Sono culture e sentimenti lontani. Si certo. Sono pericoli che si possono riproporre nello stesso modo? No certo. Non proprio così. Ma qualcosa è dentro di noi. Più o meno inconsapevolmente.
Voglio essere crudo e crudele.
Alzi la mano chi non pensa che il Parlamento sia il luogo della corruzione e dell’inefficienza.
Non oggi. Non solo oggi. Ma da 30, 40 anni almeno. Alzi la mano chi non ha pensato in questi 30, 40 anni, che la Dc di Andreotti era la mafia e il Psi di Craxi la corruzione. Alzi la mano chi si scandalizza che l’Italia del dopo guerra, che ci ha regalato la democrazia e la libertà e prosperità, sia raccontata come il tempo delle “stragi di stato” e della “trattativa stato mafia”, dalle televisioni nazionali e dai giornali nazionali, dal Corriere della Sera alla Gazzetta dello Sport.
Alzi la mano chi non gode dell’arresto di un sindaco o di una intera giunta, senza provare pietà o solidarietà, quando vengono assolti. Perché tanto, qualcosa hanno fatto. Direbbe Davigo. Idolo di buona parte degli italiani.
Alzi la mano chi non pensa che la riduzione degli stipendi dei parlamentari non sia mai abbastanza e il numero degli stessi sempre troppo alto. Perché inutili.
Alzi la mano chi si scandalizza che il Presidente del Consiglio vada in Parlamento per annunciare e mettere la fiducia su provvedimenti decisi da comitati tecnici esterni. Da “esperti” ai quali nessuno chiede quanto guadagnano.
Alzi la mano chi si scandalizza che il governo, per spendere i 209 miliardi del Recovery Fund non si affida a se stesso, ai propri ministri, al Parlamento, al confronto con i corpi intermedi, le associazioni di categoria, i sindacati. Ma a sei manager. E a un direttore generale. Dice il Pd. Addirittura. Con un comitato di 300 esperti. E all’Anac. Con poteri speciali.
Magari anche con qualche forma di immunità.
Per proteggersi dal potere vero, che la cultura e la pratica antiparlamentare ha creato: quello delle procure.
Alzi la mano chi si scandalizza che il caso Palamara sia stato chiuso in pochi mesi, nel silenzio della stampa, dei grandi giornali, delle televisioni, molto rumorose invece verso le istituzioni democratiche elette? Nessuno. O quasi. Pochi.
Vedete, è in noi.
È uno scivolo. Scivoloso.
Confondiamo le istituzioni democratiche con chi le occupa protempore.
Ci dimentichiamo di chi le ha create nel tempo. Tanto tempo. Con tanta fatica.
Non ci interessa il passato. Non ci confrontiamo con il futuro. Viviamo, male, il presente.
Odiamo la politica e i politici.
Aprendo il varco al peggio.
Quanti politici abbiamo gettato nel rogo negli ultimi 30 anni? Tutti uguali abbiamo detto.
Ne sono arrivati di migliori?
Abbiamo avuto parlamenti migliori? Governi più efficienti?
Non sappiamo più discernere. Distinguere. Agire di conseguenza. Valorizzare chi vale.
E se consideriamo il Parlamento una cloaca, in quel posto ci va chi si trova a suo agio. O li, trova il suo agio.
Vedete? È in noi.
Sergio Pizzolante