Nella ricorrenza del 25 aprile, anche quest’anno il presidente Napolitano si è “scordato” di puntualizzare certuni “dettagli”. Dopotutto il primo presidente comunista d’Italia, rappresenta lo specchio fedele di ciò che i testi della scuola pubblica intortano agli ignari studenti. Innanzitutto, assodato che l’Italia la guerra la perse, non ha precisato che festeggiare una sconfitta, è puro masochismo. In secondo luogo non ha specificato che la liberazione è stata prevalentemente operata dagli alleati e in minima (se non infima) parte dai partigiani. Anzi, onestà intellettuale e storica avrebbe richiesto che Napolitano condannasse pubblicamente i partigiani comunisti dei Gap (Gruppi Azione Patriottica), i quali provocavano deliberatamente i tedeschi nella certezza assoluta che le ritorsioni avrebbero ammazzato cittadini inermi. Avrebbe altresì dovuto ricordare che Mussolini e suoi stretti collaboratori non vennero uccisi dai partigiani comunisti per motivi politici, ma banalmente per rubare le casse della Repubblica Sociale (detto anche l’oro di Dongo), tesoro con il quale poi il PCI acquistò la sede in Via Botteghe Oscure a Roma. Ed infine, anche se per citare i misfatti dei partigiani servirebbero decine di libri (come ad esempio i testi dell’”eretico” Gian Paolo Pansa, la cui unica “colpa” è stata quella di aver smascherato i crimini e le ipocrisie dei cosiddetti “liberatori”), il ciarliero presidente tuttologo avrebbe dovuto condannare i così chiamati “tribunali del popolo” (nomignolo camaleontico che i comunisti si dettero per giustificare la sete di sangue e vendetta) che a partire dal 25 aprile, dopo processi farsa, senza difesa e senza appello, fucilarono oltre ai quindicimila fascisti e semplici avversari, centotrenta sacerdoti, religiosi, parroci, cappellani militari e semplici preti senza incarichi specifici. Crimini a sfondo religioso dunque, accertati e documentati nel libro di Roberto Berretta “Storia dei preti uccisi dai partigiani”. Ennesima conferma che i nipotini di Marx “amano” gli esseri umani nella misura in cui fungono agli interessi di bottega. L’auspicio è che l’opinione pubblica apra gli occhi, e che l’anno prossimo non si faccia abbindolare da chi usa il falso mito dei partigiani per tornaconti elettorali. Insistere a celebrare il 25 aprile equivale a schiaffeggiare la verità e prendere a calci nel sedere la vera storia d’Italia.
Gianni Toffali












