La giungla degli immigrati nel cuore dell’Europa

Schermata 2015-07-23 alle 09.05.19Sulle sponde della Manica sorge la favela più grande del Continente: tra l’indifferenza di Londra e Parigi.

A Calais i migranti respinti dalla Gran Bretagna vivono in una sterminata bidonville che si estende sulle dune dietro la spiaggia. Tra topi, gabbiani e scarafaggi queste persone marciscono al sole dimenticate da Bruxelles. Che, come Londra e Parigi, preferisce distogliere lo sguardo.

Quando entri nella giungla sono accolto da un odore acre che penetra nelle narici nonostante il vento forte che spira dal mare. È un misto di spazzatura, sudore e urina che si solleva dalle tende e dalle baracche dello slum. La maggior parte degli immigrati vive in tende di plastica da campeggio, assicurate al terreno con mattoni e pietre. A pochi metri dalla spiaggia, tra le dune sorgono i vari quartieri della giungla. Alcune bandiere indicano le zone dove si radunano le varie nazionalità: qui gli afghani, lì i sudanesi, poco oltre gli eritrei.

Chi è arrivato da poco dorme tra i cespugli, riparandosi alla bell’e meglio con un telo di plastica teso tra gli arbusti. Chi è qui da molti mesi è più organizzato e vive in baracche abbastanza alte da poterci stare in piedi. All’ingresso della giungla sono presenti alcuni bazar: catapecchie di assi e lamiera che espongono prodotti perlopiù alimentari in vendita per pochi euro.

Entro nell’osteria di Sekhandar, afghano. “Questo è il mio ristorante”, dice orgoglioso. Mostra una tenda non più lunga di sei o sette metri, alcuni tappeti disposti per terra intorno a un tavolino. Dietro un bancone, la rudimentale cucina. L’oste cucina piatti afghani su un fornelletto a gas, mentre entriamo sta arrostendo due cosce di pollo. Lo condirà con le erbe che, a mazzi, pendono dal soffitto. Addossati a una parete, alcuni scaffali carichi all’inverosimile di bevande gassate, prodotti per l’igiene e cibo in scatola: sono i prodotti in vendita per gli abitanti dello slum.

Quando entra un cliente e compra delle bottiglie d’acqua, paga fino all’ultimo centesimo estraendo dalla tasca un rotolo sorprendentemente spesso di banconote. Sekhandar, d’altronde, ci conferma che tutti i suoi clienti pagano regolarmente il conto.”Io vengo dall’Italia, ho vissuto alcuni mesi a Bolzano – mi racconta – Mi trovavo bene, ma gli Italiani sono razzisti, se entri in un negozio e hai la pelle scura ti guardano storto. In Italia nessuno fa lavorare gli immigrati, molti ci dicono di tornare al nostro Paese. Ma noi rendiamo l’Europa più prospera e più grande.” (…) Il Giornale.it