L’Indice della libertà di stampa è una classifica annuale compilata e pubblicata da “Reporter senza frontiere” che si basa sulla valutazione dell’Organizzazione delle testimonianze relative alla libertà di stampa delle nazioni nell’anno precedente. L’indice intende riflettere il grado di libertà che i giornalisti, le nuove organizzazioni e i netizen hanno nei rispettivi Paesi, e gli sforzi compiuti dalle autorità per rispettare tale libertà. L’indice riguarda esclusivamente la libertà di stampa e non misura né la qualità del giornalismo, né la violazione dei diritti umani in generale.
In attesa della prossima relazione, è interessante analizzare l’ultima. Dobbiamo rifarci all’Italia, in quanto non esiste un report specifico per la Repubblica di San Marino. Il dato resta comunque emblematico.
Diciamo subito che l’Italia nel 2022 stazionava al 58esimo posto su 180 Paesi analizzati. Un risultato tutt’altro che rassicurante.
Nel 2023 però, parliamo dell’ultimo report a disposizione, il Belpaese ha migliorato la sua classifica, risalendo fino al 41esimo posto.
In realtà, non c’è poi tanto da festeggiare.
Ecco che cosa rileva Reporter Senza Frontiere, tradotto dall’inglese:
“La libertà di stampa in Italia continua a essere minacciata dalla criminalità organizzata, soprattutto nel sud del Paese, e da vari gruppi di estremisti violenti. Questi ultimi sono aumentati significativamente durante la pandemia e continuano a ostacolare il lavoro dei professionisti dell’informazione, soprattutto durante le manifestazioni.
Panorama mediatico
Il panorama mediatico italiano è sviluppato e presenta un’ampia gamma di organi di informazione che garantiscono una diversità di opinioni. Il settore radiotelevisivo comprende diversi canali televisivi pubblici (come Rai 1) e stazioni radiofoniche pubbliche, oltre a molte emittenti private. Questa diversità è presente anche nella carta stampata, che comprende quasi 20 quotidiani (come il Corriere della Sera e La Repubblica), circa 50 settimanali (come L’Espresso e Famiglia Cristiana), oltre a numerose riviste e vari siti web di informazione.
Contesto politico
I giornalisti italiani godono per lo più di un clima di libertà. Tuttavia, a volte cedono alla tentazione di autocensurarsi, sia per conformarsi alla linea editoriale della propria testata, sia per evitare una querela per diffamazione o un’altra forma di azione legale, sia per paura di rappresaglie da parte di gruppi estremisti o della criminalità organizzata.
Quadro giuridico
Una certa paralisi legislativa frena l’adozione di diverse proposte di legge volte a preservare e persino migliorare la libertà giornalistica. Questo spiega in parte le limitazioni che alcuni giornalisti incontrano nel loro lavoro. La diffamazione non è ancora stata depenalizzata, e la pandemia ha reso più complesso e macchinoso l’accesso dei media nazionali ai dati in possesso dello Stato.
Contesto economico
A causa della crisi economica, i media nel loro complesso dipendono sempre più dagli introiti pubblicitari e dai sussidi statali, mentre la stampa sta affrontando un graduale calo delle vendite. Il risultato è una crescente precarietà che mina pericolosamente il giornalismo, il suo dinamismo e la sua autonomia.
Contesto socioculturale
La polarizzazione della società durante la pandemia di Covid-19 ha colpito i giornalisti, che sono stati vittime di attacchi sia verbali che fisici durante le proteste contro le misure sanitarie. Questa polarizzazione persiste, cristallizzandosi su questioni politiche o ideologiche legate all’attualità.
Sicurezza
I giornalisti che indagano sulla criminalità organizzata e sulla corruzione sono sistematicamente minacciati e talvolta sottoposti a violenza fisica per il loro lavoro investigativo. Le loro auto o le loro case vengono talvolta distrutte da incendi dolosi. Vengono orchestrate campagne di intimidazione online contro chi si occupa di questi temi. Circa venti giornalisti sono attualmente protetti dalla polizia 24 ore su 24 dopo essere stati oggetto di intimidazioni e attacchi”.
Direi che c’è ben poco da aggiungere. Anzi, qualcosa c’è. Temo che a condizionare il prossimo giudizio ed a far scivolare nuovamente l’Italia giù nella classifica, vi sarà il famigerato emendamento che vieta di pubblicare l’ordinanza di custodia cautelare, l’atto con cui i giudici formalizzano una misura cautelare, su richiesta dei pubblici ministeri. Lì dentro c’è tutta la storia di arresti, interrogatori, intercettazioni, perquisizioni, i nomi di chi finisce dentro e di chi è solo indagato. Vedremo come si concluderà questa partita, ma è chiaro come sia necessario mantenere la guardia alta.
Personalmente, per quanto resti fermamente garantista, la penso come il procuratore Cantone: “Quando leggo che il divieto di pubblicazione dell’ordinanza rafforzerebbe la presunzione di innocenza dell’arrestato, non capisco il collegamento. La presunzione d’innocenza è fornire una informazione corretta per evitare che si formino pregiudizi. Quindi è il contrario: un’informazione incompleta potrebbe produrre danni all’indagato, impedendo di riferire elementi utili alla sua difesa, al contesto in cui ha agito. La completezza dell’informazione è la migliore garanzia per tutti: per l’opinione pubblica, per l’indagato, per le parti offese”.
La chiave, come sempre, non è certo la censura, quanto piuttosto fornire una informazione corretta e non incompleta. Ecco perché il pluralismo e la qualità dei media diventano fondamentali per la democrazia.
Voglio chiudere, non a caso, con una bellissima frase della politica e scrittrice somala, Ayaan Hirsi Ali, che in poche righe credo riassuma perfettamente il senso del mio lungo approfondimento odierno: “La libertà, quindi la pace, richiedono sforzi continui, hanno bisogno di essere mantenute. Il rispetto dell’identità individuale e il riconoscimento del pluralismo sono possibili realmente solo dove siano garantiti i diritti di ogni singolo individuo. Vivere insieme vuol dire saper gestire i conflitti. Per questo bisogna parlare. Per questo la parole, la libertà di parola, è la chiave di una convivenza stabile”.
David Oddone
(La Serenissima)