La Marina e il Nobel per la pace. “Eroi non soltanto per dovere”.

marina militare soccorso«MI PIACEREBBE un Nobel agli uomini e alle donne della Marina militare italiana, più che all’istituzione in sè. Anzi, ancora meglio, un Nobel ad un singolo o a equipaggio che si è particolarmente distinto. Perchè tutti hanno fatto il loro dovere, ma un caso specifico, una storia, un episodio sarebbero ancora più efficaci a sollevare l’attenzione su di un problema. E in fondo è a questo che i Nobel della Pace servono: a sollevare l’attenzione».
Così Marco De Ponte, padovano, già vicepresidente di Amnesty International dal 1997 al 2003, adesso segretario generale di Action Aid Italia, organizzazione non governativa che conta oggi 150 mila sostenitori economici e 70 mila attivisti.
Il vicesegretario delle Nazioni Unite, Jan Eliasson, ha detto in una intervista al nostro giornale che se fosse per lui dopo Mare Nostrum la Marina Militare italiana meriterebbe il Nobel per la pace visto che «ha esaltato i valori umani più alti nello svolgimento del suo servizio di soccorso». Condivide?
«Condivido le riflessioni del vicesegretario delle Nazioni Unite. Capisco che è difficile assegnare il Nobel ad un organismo statuale come una marina militare, ed è assolutamente vero che esiste un obbligo anche giuridico, al quale nessun marinaio si sottrae, al soccorso in mare. Perchè allora avrebbe un senso premiare la Marina se fa solo il suo dovere? Perchè nell’attività svolta nel Mediterraneo salvando centinaia di migliaia di persone lo ha fatto con una costanza, impegno e una umanità che andava oltre la fredda decisione politica, oltre il rispetto del suo mandato. Con persone che ogni giorno si sono prodigate al limite delle loro forze e che non l’hanno fatto perchè glielo ordinavano, ma perchè andava fatto, senza chiedere nulla».
Un riconoscimento alla gente del mare?
«Nessuno di loro si è mosso per avere un riconoscimento, e anche per questo merita un riconoscimento. Che è utile a porre l’accento su questo problema e a colmare il gap tra quello che si riesce a fare usando al massimo con le risorse impiegate e quel che si dovrebbe fare per salvare tutti. E, ancor meglio, per evitare che questi profughi debbamo mettersi in cammino»
La responsabilità dell’Europa di non aver saputo gestire il problema è grande…
«Non solo dell’Europa. Queste situazioni che vediamo nel Mediterraneo succedono anche altrove, ad esempio con i profughi birmani che fuggono verso il Bangladesh. Gli Stati non possono ignorare la realtà: chiudersi o girarsi dall’altra parte non è una soluzione. Un Nobel a chi in prima linea ha fatto tutto quello che doveva sarebbe un segnale importante. Che sì, la comunità internazionale ha davvero a cuore il problema».

Fonte: LA REPUBBLICA