LA MELA D’ORO, UN PREMIO, UNA STORIA … di Elisabetta Righi Iwanejko

Il 27 giugno si è rinnovato l’appuntamento con l’Oscar delle donne, il Premio Marisa Bellisario, “Donne che fanno la differenza” nella splendida cornice del Parco Archeologico del Colosseo e in onda su #Rai1. Come ogni anno, il Premio ideato nel 1989 da Lella Golfo Presidente della Fondazione Marisa Bellisario organizzato per ricordare l’imprenditrice italiana prematuramente scomparsa. A decretare le vincitrici una Commissione presieduta da Gianni Letta composta da autorevoli esponenti del mondo economico, istituzionale e culturale.
Donne che sono diventate protagoniste nelle rispettive professioni imponendosi soprattutto sugli uomini che da sempre prevalgono nei centri di formulazione delle decisioni politiche, economiche, sociali. Una sfida difficile complessa che queste donne hanno vinto dovendo anche contrastare purtroppo la rivalità femminile.
Sembrerà paradossale ma oltre al sesso maschile, le donne hanno dovuto combattere per emergere contro altre donne che, essendo consapevoli di avere limiti e deficienze, pretendevano un livellamento verso il basso di tutto il genere femminile. Per questo motivo le donne insignite della “Mela d’Oro” sono state appunto denominate “Donne ad alta quota” ossia donne che hanno raggiunto i vertici delle proprie sfere di competenza con determinazione, professionalità, dirittura morale, passione, dedizione.
Uno spirito intrinseco di donne, madri, figlie, mogli che ha lasciato un segno profondo e indelebile nel processo di emancipazione femminile di una società altamente maschilista come quella italiana.
Sottolineare tale peculiarità non corrisponde ad una mera enfatizzazione dei progressi compiuti dalle donne, bensì precisare la genesi del cambiamento delle relazioni tra uomo e donna nella nostra società.
Un cammino estenuante complicato laborioso che ha tracciato un inequivocabile fil rouge, ovvero il valore aggiunto che le donne costituiscono nella moderna realtà contrassegnata da un panorama mondiale globalizzato e multietnico. Una riflessione che ci impone oggi di non considerare più la diversità tra uomo e donna, ma esclusivamente la differenziazione tra persone.
Da cittadina italo sammarinese considero motivo d’orgoglio il riconoscimento ricevuto nel 1999, perfettamente consapevole della responsabilità che l’investitura ricevuta mi ha assegnato. Il Premio non è stato un punto d’arrivo ma di partenza da cui procedere per dare esecuzione al mandato fiduciario conferitomi dalla Fondazione.
Credo fermamente che solo arricchendo costantemente il nostro patrimonio professionale ed umano, le donne possano aspirare a recitare un ruolo di primo piano nell’economia, nella politica, nell’impresa, per creare una nuova cultura del lavoro.
Per questo, negli anni ho intensificato la mia attività di formazione partecipando alle numerose opportunità create dalla Fondazione Bellisario, dove formazione, aggiornamento e confronto, continuano a rappresentare efficaci strumenti di crescita personale.
Elisabetta Righi Iwanejko