Tra le molteplici abitudini quotidiane, la più gettonata in assoluto è la lettura dei necrologi. Tra un sospiro di sollievo per non aver letto il proprio nome, ed uno di sgomento per la vista di una persona conosciuta, non si può non notare una radicale mutazione delle “abitudini” post mortem degli italiani. La percentuale di chi opta per la cremazione rispetto all’inumazione è sempre più alta. A prima vista la scelta tra inumazione e cremazione appare priva di connotazioni ideologiche. In realtà scegliere per l’una o l’altra possibilità, implica visioni della vita e della religione agli antipodi. A preferire la cremazione, nella stragrande maggioranza dei casi sono atei, agnostici e pagani adoratori di Madre Terra. Chi invece predilige l’inumazione, sono i credenti di tutte le religioni. Appare lapalissiano che optare per l’inceneritore anziché la tomba, ha un movente inequivocabilmente “religioso”. Per non creare imbarazzi alla cerchia di amici e parenti, chi decide di buttarsi nel forno ardente, giustifica tale agghiacciante opzione, con patetiche argomentazioni di carattere ecologico ambientali. In realtà, la motivazione, checché non manifestamente palesata, è ben altra. Per comprendere le vere ragioni della cremazione, bisogna partire da lontano. I negazionisti del Creatore, che per “inspiegabili ragioni” preferiscono farsi chiamare laici, in realtà credono in Dio più dei sgranarosari e dei basabanchi. La prova si arguisce dal fatto che gli atei e diversamente credenti, dedicano la loro esistenza a combattere le fedi, le chiese ed ovviamente il Dio creatore della vita e dell’universo. Se ne evince che lo zelante impegno contro le religioni, conferma la fede degli atei nella divinità, negata a sole parole. Preso atto che la sola differenza tra un credente e un ateo è che il primo ama e loda Dio, mentre il secondo lo detesta, è peregrino ipotizzare che il “diversamente credente” coglie nella cremazione l’occasione per assestare l’ultimo schiaffo (all’odiato) Dio?
Gianni Toffali