Vorrei provare ad esporre un ragionamento obiettivo e soprattutto costruttivo, per quanto la situazione temo sia ormai degenerata, mi auguro non definitivamente.
Oggetto il famigerato ostruzionismo del quale viene additata l’opposizione.
Mi sono soffermato tantissime volte in passato sul ruolo fondamentale che gioca nella democrazia chi è chiamato a vigilare sull’operato del governo e della maggioranza.
Ho immediatamente fatto notare, all’indomani delle ultime elezioni, che una maggioranza più è ampia, più ha responsabilità ineludibili.
D’altra parte, ho altresì sempre sperato che a tenere le redini del Paese fosse una coalizione forte nei numeri e nelle idee.
Il motivo è molto semplice da comprendere: questo dovrà essere l’esecutivo del fare.
C’è la partita dell’Europa e quella delle riforme. Non si può più attendere.
L’opposizione dal canto suo non può e non deve restare a guardare. In tempi di cavalieri bianchi e poteri forti che hanno tentato di appropriarsi della millenaria sovranità del Monte, mi chiedo che cosa sarebbe successo se le opposizioni non avessero fatto “ostruzionismo”, non avessero alzato così tanto i toni, arrivando ad infiammare, estremizzare ed esasperare il confronto.
Oggi sarebbe probabilmente difficile anche scrivere il presente editoriale. Non esagero, visto che tutti i poteri dello Stato stavano rischiando di venire fagocitati.
Ora fortunatamente la situazione è radicalmente cambiata, io credo principalmente grazie all’arrivo di Canzio, e qui mi fermo.
Tornando all’ostruzionismo delle opposizioni e alla conseguente richiesta di cambiamento delle regole del gioco, leggasi regolamento consigliare, auspico si possano trovare le più ampie convergenze ed anzi possa diventare quello il momento per un confronto istituzionale di alto livello.
Se l’attuale governo e maggioranza hanno dunque il dovere di fare tesoro e non dimenticare cosa è accaduto solo qualche anno fa, le opposizioni non possono abusare del proprio ruolo.
Certamente in questo momento in ballo non c’è la svendita della nostra sovranità, piuttosto lecite decisioni politiche, delle quali chi sta nella stanza dei bottoni deve assumersi la responsabilità.
Se si grida “al lupo” senza motivo, il rischio è quello di non essere creduti anche quando poi si racconta la verità. A buon intenditor, poche parole.
L’ostruzionismo fine a sé stesso non fa bene e non è utile a nessuno, men che meno ai sammarinesi.
Propongo un esempio, dal mio punto di vista assolutamente pertinente ed emblematico.
Prendete San Siro. Come ha già avuto modo di fare notare qualcun altro, nello stesso giorno in cui l’Uefa cancellava la finale di Champions League 2027 da Milano per i problemi dello stadio, il Manchester United presentava il più grande progetto di trasformazione urbana inglese con il nuovo stadio da due miliardi di sterline che prenderà il posto dell’Old Trafford. Da una parte la burocrazia e la palude tutta italiana, dall’altra l’innovazione e il futuro. Una situazione che certifica il declino e la sconfitta di una politica che sa dire solo no.
Vogliamo davvero fare la stessa fine? Trovarci nella situazione in cui arriva Tizio coi soldi, vuole fare un progetto milionario e dopo 15 anni manco si è riusciti a dirgli sì o no? E stiamo parlando di Milano, città che almeno nell’immaginario collettivo dovrebbe essere simbolo di civiltà e progresso.
Ci riflettano sopra le opposizioni, ma anche in maggioranza. Pure in questo caso: chi ha orecchie per intendere, intenda.
Per chiudere credo che la soluzione come al solito vada cercata e reperita nel buon senso. Uno dei precetti morali del mondo greco è il “ne quid nimis”, “nulla di troppo”, una iscrizione che troviamo sul frontone del tempio di Apollo a Delfi. I romani dicevano che “in medio stat virtus”.
Abbiamo fior di grecisti e latinisti fra gli scranni del Consiglio. Le “guerre”, detto che di questi tempi è un termine che dovremmo tutti rifuggire, fatele sulle questioni importanti, perché altrimenti la gente potrebbe cominciare a chiedersi che cosa ci fate lì se non portate a casa risultati. E ciò vale per tutti e sessanta.
David Oddone
(La Serenissima)