Ecco i primi indagati dalla procura di Catania che aveva lanciato l’allarme. Nel mirino le comunicazioni con gli scafisti
«La procura di Catania parli attraverso le indagini e gli atti». Tornano in mente queste parole del ministro di Giustizia Andrea Orlando ora che un altro ministro, quello degli Interni va a concordare con i partner europei un regolamento per imbrigliare le Ong che trasportano migranti in Italia.
Sono passati nemmeno tre mesi da quando Orlando rimbrottava con quelle parole il procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro che denunciava il fenomeno di un «traffico umanitario» diventato, di fatto, completare al traffico disumano degli scafisti. Zuccaro fu crocifisso, intervennero perfino i presidenti delle Camere e il Csm. E adesso, come se niente fosse, lo stesso governo fa sua quella denuncia e la trasforma in questione politica europea.
Una rivincita silenziosa per il procuratore di Catania, che di certo agì irritualmente, ma lo fece perché irrituale era la situazione: sulle coste siciliane, incluse quelle di competenza della procura etnea, si stanno da mesi ripercuotendo gli effetti della scelta dell’Italia e dell’Europa di rinunciare a tentare di governare il fenomeno. E nessuno, a parte Frontex e lo stesso Zuccaro, diceva una parola. La Procura aveva bisogno di un appoggio politico indispensabile per portare avanti un’indagine delicata in acque internazionali e in uno scenario di guerra civile come quello libico. A quanto pare la sferzata del magistrato è servita. Lo dimostra una notizia che il Giornale è in grado di anticipare: l’indagine di Catania è passata da «conoscitiva» a penale a tutti gli effetti. Dopo le Procure di Trapani e Palermo, anche quella di Catania ha iscritto nel registro degli indagati alcune delle persone coinvolte. C’è riserbo, comprensibilmente, sulle loro identità, ma il fulcro dell’indagine riguarda le comunicazioni tra scafisti e personale delle Ong. Dunque, come aveva detto Zuccaro fin dall’inizio della vicenda, dal punto di vista della procura si tratta di identificare chi, tra le persone che operano in mare, starebbe realizzando forme di collusione con gli scafisti, senza per questo criminalizzare le organizzazioni governative in sé, che pure stanno svolgendo un’operazione palesemente in contrasto con l’agenda politica italiana ed europea, sfruttando le norme per il salvataggio in acque internazionali come grimaldello per mettere in piedi un corridoio umanitario discutibile anche dal punto di vista umano, visto che in parallelo all’aumento dell’attività della «flotta solidale» è aumentata anche la mortalità in mare. Numeri allarmanti, anche senza tirare in ballo il «pull factor», cioè la spinta ad aumentare le partenze da parte degli scafisti, consapevoli che grazie alle Ong è sufficiente portare i migranti al limite delle acque territoriali libiche. Una dinamica liquidata come indimostrabile pochi mesi fa e ora divenuta parte dell’agenda di governo e finita sul tavolo del summit trilaterale di Parigi.
E al di là del quadro politico, si fa strada anche quello criminale, almeno stando alle ipotesi messe in campo dalle procure siciliane. Evidentemente la sferzata di Zuccaro, che chiedeva maggiori mezzi per indagare, è servita. Il fascicolo aperto a Catania riporta l’ipotesi di reato prevista dal sesto comma dell’articolo 416 bis: associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. Un reato che prevede una pena da cinque a quindici anni per chi promuove l’associazione e da quattro a nove per chi ne fa anche solo parte. Come nel caso dell’inchiesta di Palermo, agli atti ci sarebbero dunque comunicazioni «sospette» con gli scafisti.
Zuccaro, interpellato dal Giornale. non commenta né gli sviluppi dell’inchiesta né quelli politici che ora confermano la sua denuncia: «In questo momento sarebbe in contrasto con l’interesse delle indagini». Il procuratore dunque incassa la rivincita con riserbo. Proprio quello che è mancato ad alcuni ministri e parlamentari, che ora tacciono e invece almeno due parole dovrebbero dirle: abbiamo sbagliato. Il Giornale.it