La sottile linea tra intercettazioni digitali e difesa della privacy (di David Oddone)

La rivoluzione digitale ha trasformato profondamente il modo in cui vengono condotte le indagini, introducendo strumenti tecnologici avanzati come il captatore informatico, noto anche come trojan. Si tratta di una tecnologia che consente agli investigatori di monitorare in tempo reale le conversazioni e le attività di dispositivi elettronici senza che l’utente ne sia consapevole, sollevando al contempo questioni di fondamentale importanza riguardo la privacy e i diritti costituzionali. In Italia, l’uso di captatori informatici è regolato dal codice di procedura penale e viene autorizzato nei casi di reati di particolare gravità, come quelli legati alla criminalità organizzata e alla corruzione. Tuttavia, l’efficacia di tali strumenti si scontra inevitabilmente con la loro invasività, poiché permettono di entrare in luoghi privati o di accedere a dati personali sensibili. Le recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno messo in luce la necessità di un costante bilanciamento tra il diritto alla privacy e l’esigenza di indagare su reati di notevole impatto sociale.

Parallelamente a queste innovazioni investigative, assistiamo a una crescente vulnerabilità delle persone, soprattutto giovani, nell’uso degli strumenti digitali. Un esempio calzante è il sexting, la pratica di inviare messaggi, foto o video intimi tramite piattaforme di messaggistica, diventato una consuetudine diffusa tra gli adolescenti. Le statistiche mostrano che oltre il 50% dei ragazzi tra i 13 e i 19 anni ha inviato contenuti espliciti a un partner, sottovalutando spesso i rischi legati alla diffusione non consensuale di tali materiali. Il revenge porn e il cyberbullismo rappresentano alcune delle conseguenze più gravi di questa diffusione incontrollata, con effetti devastanti sulla vita delle vittime. Progetti educativi come “#Cuori connessi” mirano a sensibilizzare i giovani sui pericoli del sexting e a promuovere una maggiore consapevolezza nell’uso delle tecnologie digitali. Tuttavia, la prevenzione non può limitarsi a iniziative isolate: è fondamentale che le piattaforme sociali e le istituzioni collaborino per implementare misure di protezione adeguate.

A complicare ulteriormente il quadro vi è l’evoluzione delle minacce informatiche, che colpiscono non solo i singoli utenti ma anche le aziende. Il Cybersecurity Awareness Month 2024 ha evidenziato come gli attacchi alla supply chain e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale rappresentino nuove sfide per la sicurezza informatica. L’AI è ormai utilizzata non solo per migliorare le operazioni aziendali, ma in egual misura da attori malevoli per realizzare attacchi sempre più sofisticati, come il furto di identità o la simulazione di comportamenti umani per ingannare i sistemi più all’avanguardia. In uno scenario talmente complicato e variegato, è essenziale che le aziende e i cittadini adottino pratiche di “igiene informatica” come l’utilizzo di password efficaci, l’autenticazione a più fattori e un costante aggiornamento dei sistemi di sicurezza. La cooperazione tra pubblico e privato, insieme a una superiore cognizione dell’importanza della protezione dei dati, rappresenta l’unica strada percorribile.

Che fare allora? La tecnologia, pur offrendo strumenti sempre più potenti appannaggio dell’efficacia delle indagini, deve essere certamente utilizzata con grande attenzione e nel pieno rispetto dei diritti fondamentali. È necessario trovare un equilibrio tra innovazione, possibilità e necessità di indagare, e tutela dei più vulnerabili e della loro privacy. Più facile a dirsi che a farsi, ma la soluzione – come spesso mi trovo a puntualizzare – passa anche attraverso una maggiore responsabilità individuale.

David Oddone

(La Serenissima)