Il tentativo di assassinio di Donald Trump durante il suo comizio a Butler, Pennsylvania, non è solo un tragico episodio di violenza, ma il sintomo di una nazione avvelenata dall’odio. Il grilletto premuto da Thomas Matthew Crooks non ha solo colpito l’ex presidente, ma ha anche inferto una ferita profonda al cuore di una società che sembra aver dimenticato i principi del rispetto e della convivenza civile.
Crooks, un giovane di 20 anni, registrato come repubblicano ma con una donazione a un comitato democratico, incarna la confusione e la rabbia di una generazione che si è trovata intrappolata in una spirale di rancore alimentata da una retorica infiammata e polarizzante. La sua azione, deplorevole e condannabile, è figlia di un clima tossico che ha trasformato il dibattito politico in una guerra di fazioni.
Trump, colpito all’orecchio, fortunatamente è sopravvissuto. Ma quanti, in un certo senso, sono stati già colpiti? Quanti hanno visto la loro umanità erosa da un discorso pubblico che non lascia spazio alla comprensione reciproca? La ferocia di Crooks è solo l’ultimo capitolo di una storia di intolleranza che ha radici profonde. Non si tratta di giustificare, ma di comprendere: l’odio genera odio, in una catena inarrestabile che può essere spezzata solo con un ritorno ai valori fondamentali del rispetto e della dignità.
L’intervento di Joe Biden, che ha prontamente condannato la violenza e mostrato solidarietà a Trump, è stato un gesto di responsabilità istituzionale. Ma le parole non bastano. Serve un impegno concreto e quotidiano da parte di tutti i leader politici per abbassare i toni, per spegnere i fuochi del risentimento e costruire ponti di dialogo. Ogni dichiarazione incendiaria, ogni insulto lanciato nell’agone politico, è una scintilla che può trasformarsi in fiamma.
È un dovere morale fermarsi a riflettere: in che modo stiamo contribuendo a questo clima di ostilità? Le nostre azioni, i nostri discorsi, sono strumenti di pace o di conflitto? La risposta a queste domande è essenziale per ricostruire un tessuto sociale lacerato.
Non è possibile sottovalutare l’importanza delle parole. Esse sono armi potenti che possono ferire o guarire. La politica deve ritrovare la sua dimensione etica, deve diventare il luogo del confronto rispettoso e non della demonizzazione dell’avversario. L’episodio di Butler ci obbliga a un esame di coscienza collettivo.
Con le dovute proporzioni, è un concetto e una riflessione che vale anche per San Marino. Leggere alcuni comunicati stampa e dichiarazioni lascia l’amaro in bocca. Si dovrebbe e si potrebbe fare un salto di qualità, riportando la lecita e doverosa dialettica entro ben altri binari.
Viene in mente una bellissima frase di Martin Luther King Jr., quanto mai attuale e pertinente: “L’oscurità non può scacciare l’oscurità; solo la luce può farlo. L’odio non può scacciare l’odio; solo l’amore può farlo”. In un contesto globale in cui le tenebre sembrano prevalere, è imperativo riscoprire la luce della comprensione, della tolleranza e della solidarietà.
David Oddone
(La Serenissima)