La Storia di Sylviane Stefanelli, da Lei scritta..

Desidero con questo mio scritto rendere pubblica una dolorosa vicenda giudiziaria che mi ha profondamente colpita, ma che è rivelatrice di un sistema giudiziario, quello sammarinese, che non garantisce i diritti fondamentali della persona.

Sono Sylviane Stefanelli, cittadina sammarinese nata in Francia sessantanni orsono. Mio padre e mia madre emigrarono in Francia, nella regione di Grenoble (Isère), dal momento che in Repubblica non c’era la possibilità di mantenere una famiglia. Nell’estate 1964, ricordo bene,  in casa c’erano molte visite di persone sammarinesi. Mio padre nel frattempo aveva costruito una casa a Borgo Maggiore con tutti i sacrifici da operaio nelle Usine Chimiche Kullmann (veleno puro); il suo pensiero era quello di rientrare a San Marino per la sua salute e faceva molte domande  ai Sigg. sammarinesi. In seguito ho capito che i visitatori sammarinesi erano politici, perché nel settembre 1964 c’erano le elezioni in Repubblica. Le visite erano per acquisire voti. Nel 1965 dopo  numerose promesse politiche per il lavoro, mio padre doveva essere assunto alle dipendenze dello Stato. Mio padre decise di rientrare in San Marino, con tutta la famiglia (moglie e tre figli: io ero la maggiore). Ho frequentato le scuole francesi, e sono rientrata a San Marino giovanissima (14 anni). Era il momento del primo sviluppo economico sammarinese. Mio padre non venne assunto immediatamente alle dipendenze dello Stato: le promesse erano sparite, pure le elezioni erano passate, ma solo in secondo tempo fu assunto alle dipendenze dell’Ufficio Tecnico dopo lotte e pugni sui tavoli (racconto questo per fare capire che dopo 45 anni nulla è cambiato in questo Paese); io, all’età di 16 anni, fui assunta presso un’azienda sammarinese, ove imparai le regole dell’amministrazione sammarinese, dopo avere frequentato il corso di stenodattilografa al Centro “Zavatta” a Rimini.

Successivamente ho lavorato presso altre aziende, ho avviato un’attività in proprio. Il tutto fino al 27 febbraio 1992, quando venni arrestata perchè accusata di avere, quale amministratore di una società, commesso frode fiscale nei rapporti con aziende italiane.

Non entro nel merito dell’accusa, perchè sarebbe troppo lungo e di difficile comprensione, ma desidero sottolineare come in tutta la mia vicenda giudiziaria non sono mai stata in grado di difendermi adeguatamente, in quanto i giudici della Repubblica hanno palesemente violato i miei diritti fondamentali non rispettando MAI la Dichiarazione dei Diritti Dei Cittadini e dei Principi Fondamentali dell’Ordinamento Sammarinese – Art. 5 “I diritti della persona umana sono inviolabili”.

Quando venni arrestata, fui interrogata senza la presenza di un mio avvocato. Sono stata condotta in un carcere per 28 giorni, quello sammarinese, che era solo maschile: la cosa fu denunciata il 26 marzo 1992 alla Commissione Europea in visita a San Marino, mentre ero in carcere. In quell’occasione le autorità sammarinesi cercarono di mascherare l’assenza di una sezione femminile del carcere della Repubblica, ma su mia precisa indicazione questo meschino tentativo venne smascherato. Ovviamente le autorità sammarinesi non hanno provveduto ad oggi alla creazione di un vero carcere femminile, nonostante le promesse e assicurazioni date alla Commissione Europea.

Malgrado la Rogatoria Internazionale, con arresto immediato della sottoscritta, il 29 luglio 1992 decido di consegnarmi alla Giustizia Italiana, al Giudice Libero Mancuso, vengo interrogata ed arrestata, la mia permanenza nel carcere femminile della Dozza (Bologna) si è risolto in solo 2 ore, dopo avere fornito al magistrato italiano tutte le notizie necessarie a chiarire la mia posizione per la vicenda di cui ero accusata.

Il 16 luglio del 1996 sono stata condannata, con i procedimento previsto dal codice penale del 1870 (quiasi un secolo e mezzo!), dal Giudice di primo grado Prof. Gualtieri. Io non ho mai visto in faccia questo giudice, che si è pronunciato, in aperta violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, basandosi solo esclusivamente sugli atti processuali. Il 18 novembre 1996 venni nuovamente condannata, seppur con pena ridotta, dal Giudice Prof. M. Nobili, ancora una volta senza un pubblico processo, senza essere stata interrogata, senza avere potuto esporre al magistrato che mi giudicava le mie ragioni, senza poter indurre testimoni a mio favore. Va anche sottolineato che la sentenza di condanna del Giudice Nobili venne notificata a me tre giorni dopo la prescrizione. Il Giudice allora, con interpretazione stupefacente, scrisse a fronte della eccezione dei miei avvocati, che la data valida ai fini della prescrizione era quella del deposito della sentenza e non quella della sua pubblicazione!

A seguito della condanna, mi venne concesso il beneficio della assegnazione ai servizi sociali. Da questo momento cominciano i veri problemi.

Vengo sottoposta a perizie psichiatriche il 22 febbraio 1997 per valutare la mia pericolosità!! I reati amministrativi non hanno nulla a che vedere con il pericolo.

Nel frattempo, proprio in virtù del decreto del giudice dell’esecuzione Guido Guidi, venni licenziata dalla ditta presso la quale svolgevo il mio lavoro, in posizione molto apprezzata. Voglio sottolineare che tale licenziamento ha avuto per me effetti devastanti, in quanto improvvisamente mi sono ritrovata senza reddito alcuno, con i miei (pochi) risparmi sequestrati e confiscati: il giudice dell’esecuzione, nel concedere il beneficio dell’affidamento in prova ai servizi sociali, non si è preoccupato di fare in modo che io avessi il necessario per vivere, come era suo preciso dovere, ma ha provocato un mio stato di indigenza economica che ha condizionato la mia vita futura.

I sevizi sociali erano: lavorare GRATIS 30 ore settimanale durante l’orario di lavoro presso ISS con compiti contabili (fare la ragioniera non è un lavoro sociale). Trovandomi senza lavoro e sola, ho deciso di recarmi in carcere: almeno per tre anni non dovevo preoccuparmi per il cibo!  Mi sono costituita il 9 ottobre 1997, ma il giudice non ha accettato la mia rinuncia al beneficio degli affidamenti ed ha dato ordine di rifiutare la mia volontaria costituzione: forse perché il carcere era ancora solo maschile!

Continuo la mia disperata richiesta ad un posto di lavoro. Mi sono rivolta immediatamente alla C.S.U.nella persona di Giorgio Felici. Scrivo ripetute raccomandate A.R. al Giudice Guido Giudi  al Maestro Bianchi, la persona assegnatami per seguirmi nei servizi sociali, spiegando la situazione,

Nella seduta della Commissione di collocamento del 15 aprile 1998 delibera1  si legge: “Il presidente illustra i problemi di inserimento lavorativo di  Stefanelli S. e propone eventuale mobilità e riavvio c/o Archingeo S.A. (Titanedi)

La commissione esprime parere favorevole e delibera di chiedere un riferimento al giudice in merito alla posizione della Stefanelli, in base al quale si prenderanno gli opportuni provvedimenti.”

Nella seduta della Commissione di collocamento del 24 aprile 1998 si concede alla Archingeo S.A. (Titanedi) l’assunzione di frontalieri con obbligo di reinserimento della Stefanelli. Concesso il nulla osta alla Sig.ra Claudia Cuccolini, che era già la mia sostituta nel lavoro (in nero). All’Archingeo-Titanedi non serviva la mia persona negli uffici. Comunque in ottemperanza alle disposizioni della Commissione, sono stata assunta il 12 maggio 1998, con una qualifica inferiore alla mia precedente; mi hanno dato lo stipendio senza lavorare per 3 mesi per poter accedere successivamente alla mobilità per un solo anno in base agli accordi sindacali con le diverse categorie: insomma, la ditta ha usato raggiri per poter assumere persona di suo gradimento, allontanando comunque me dal posto di lavoro.

Il 28 maggio 1998, due giorni prima dell’elezioni politiche, mi presento un ennesima volta al Giudice Guido Guidi quale disoccupata minacciando proteste pubbliche. Il Giudice in mia presenza telefona al Segretario del Lavoro del momento (Claudio Podeschi) il quale chiama la Reggenza (Francini Loris – Cecchetti Alberto) che mi consegna un elemosina di Lit. 1.997.000 con promessa di un’altra trance a settembre 1998 e un posto di lavoro. Passate le elezioni, 30 maggio 1998, la seconda rata non c’era più e neanche il lavoro.

Passato il periodo di mobilità (8 giugno 1999) mi ritrovo disoccupata . Il lavoro nella vicina Repubblica Italiana viene individuato come strumento di rieducazione e reinserimento sociale e posto a fondamento in prova ai Servizi Sociali. Il condannato, nel vicino ordinamento italiano, viene cioè invitato d darsi stabile occupazione lavorativa, quale condizione per potere fruire del beneficio. Con il lavoro, il condannato, in Italia, provvede al suo mantenimento e in tal modo è ammesso a dare prova del proprio recupero. Nella Repubblica di San Marino invece, come nel mio caso, si pretende di farmi lavorare gratuitamente al servizio dello Stato, impedendomi in tale modo di esercitare qualsivoglia altra attività lavorativa che mi consenta di vivere. In tal modo, la pretesa dello Stato si risolve in un trattamento inumano e degradante in violazione dell’art. 3 della Convenzione e dell’art. 4, perché costringe ad un lavoro obbligatorio incompatibile con la vita sociale e con lo scopo rieducativo della pena.

Di fronte alla ingiusta condanna di cui sono stata vittima, non mi restava che il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. E’ stato un lungo procedimento, in quanto la Corte di Strasburgo ha voluto conoscere nel dettaglio la legislazione sammarinese, onde verificarne la rispondenza ai principi fondamentali della Convenzione Europea alla quale la Repubblica aveva aderito. La fase istruttoria ha visto un accanimento del Governo sammarinese per cercare di difendere l’indifendibile, ma mammano che l’istruttoria proseguiva, appariva sempre più evidente la fragilità del sistema processuale penale sammarinese ed in particolare l’ingiustizia del processo celebrato a mio carico.

Il Governo sammarinese tuttavia non si è sottratto, anche perchè non avrebbe potuto giustificarlo, alla sottoscrizione il 19 gennaio del 2000 della Raccomandazione R (2000)2, in base alla quale gli Stati aderenti alla Convenzione Europea dovevano introdurre nel proprio ordinamento interna alla revisione e riparazione dei processi che la Corte dichiarava ingiusti. San Marino dunque sottoscrive tale impegno, e 16 giorni dopo la Corte Europea emette la sentenza con la quale dichiara che il processo che mi ha visto condannata era in contrasto con l’art. 6 della Convenzione Europea e quindi in violazione dei miei diritti.

Insomma, la Corte Europea ha dichiarato che ero stata vittima di gravissime ingiustizie da parte del tribunale sammarinese che aveva deciso negativamente sul processo a mio carico.

A questo punto mi aspettavo, anche per la firma apposta dal governo alla raccomandazione R(2000) 2 prima citata una riparazione immediata a mio favore per l’ingiustizia subita. Niente di tutto questo, anzi San Marino approva una legge, la n. 20 del 24/02/2000, in aperto contrasto con quanto sottoscritto solo il mese prima a Strasburgo. In particolare la nuova legge introduceva il concetto di pubblicità del processo penale sammarinese anche in appello, ma non ammetteva alcuna revisione, in aperta violazione dell’impegno assunto con la sottoscrizione della raccomandazione R(2000)2.

Decido di proseguire nella lotta per la tutela dei miei diritti. Nonostante le carenze legislative interne e confidando unicamente sulle disposizioni del Consiglio d’Europa, presento domanda di revisione, segnalo al comitato dei ministri presso il Consiglio d’Europa le carenze della legislazione sammarinese e il non corretto comportamento del nostro Governo in relazione agli impegni assunti. Ottengo all’interno solo resistenze, parziali sanatorie della mia posizione per cercare di farmi tacere.

Pressato dal Consiglio d’Europa, il Governo sammarinese (Segretario di Stato Masi (2002) dopo sei mesi il Segretario Alberto Cecchetti) approvano il 29 giugno 2003 una legge (n.89) in base alla quale viene ammessa la revisione delle sentenze riconosciute ingiuste dalla Corte Europea, ma con due gravissime limitazioni: la prima consistente nella discrezionale ammissibilità della revisione solo in caso di “gravi” conseguenze (la legge non specifica i criteri di gravità); la seconda nella esclusione dal ricorso per le precedenti pronunce della Corte. In definitiva io non avevo la possibilità di presentare istanza di revisione per l’ingiusto processo subito.

Ricordo che la bozza della Legge n. 89 era pubblicata sui nostri quotidiani il 12 maggio 2003 e nell’approvazione è stata privata dell’Art. 5 che recitava : “Per i procedimenti per i quali la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha già pronunciato sentenza definitiva, il termine di cui all’Art. 3 decorre dall’entrata in vigore della presente Legge.”

Le sentenze definitive erano solo due, legge …monca.

Non mi perdo d’animo. Protesto con le autorità di governo ed inizio per la prima volta con un enorme sofferenza e grande disagio la protesta pubblica sul Pianello il  4 luglio 2003.

Denuncio la gravissima discriminazione personale alla quale sono stata sottoposta, sottolineo che la legge era stata emanata su sollecitazione di Strasburgo, ma era stata confezionata in modo da escludere me ed altro ricorrente (Tierce) dal procedimento di revisione: insomma San Marino faceva di tutto per punirmi per la mia caparbietà e denuncia pubblica delle ingiustizie da me subite! Finalmente, anche per i pesanti rilievi del Consiglio d’Europa, il Segretario di Stato Foschi presenta una proposta di legge che consente di presentare ricorso per revisione. La legge, approvata dal Consiglio il 1 dicembre 2005, pur apprezzabile per la risposta data alle mie istanze, non ha provveduto a modificare la carente normativa della legge istitutiva della revisione (2000) che non disciplina convenientemente le procedure. Così sono risultati vani ed inutili tutti i tentativi di ottenere giustizia, nonostante l’annullamento del Giudice della revisione  che, in base al mio ricorso del 5.10.2006 obbligandomi al versamento di €. 1.178,00, ha revocato la sentenza emessa a mio carico dal Tribunale di San Marino, ordinando impropriamente e senza alcun sostegno legale, la trasmissione degli atti al Giudice di Appello.

Ancora una volta non ottengo giustizia. Le procedure riguardanti il mio caso sono illegali, non posso presentare testimoni, le mie impugnative sono dichiarate improponibili, le mie istanze non ottengono risposta: insomma, dopo ben 15 anni dal mio arresto mi ritrovo sola a protestare e combattere contro un sistema che non vuole ammettere i propri errori.

Solo il 15 ottobre 2009 riesco ad ottenere, dopo 18 giorni di sciopero della fame, per interessamento della politica che cercava di scongiurare le mie proteste, la restituzione delle somme confiscate con la sentenza Nobili. Anche in questo caso sono stata beffata: al momento del ritiro delle somme sequestrate e confiscate, si scopre che il Commissario della Legge Roberto Battaglino aveva, un anno prima, illegalmente consegnato un libretto alla moglie del coimputato Cassarà Salvatore. A nulla sono valse le mie proteste  ed i miei reclami, ho solo avute altre spese legali per i ricorsi: ancora una volta il sistema si è auto assolto. Io continuo a protestare pubblicamente finché avrò una goccia  di sangue nelle vene su ogni parte del suolo sammarinese: speriamo che la mia insistenza faccia prendere coscienza ai sammarinesi della grave crisi del sistema della giustizia,

San Marino non è più, come un tempo, terra dell’ antica libertà, ma: terra della libertà antica.