La Svizzera insegna che si può essere europei senza sottomettersi. San Marino segua il modello degli accordi bilaterali … di Marco Severini

Ultimamente, anche grazie al sottoscritto e a GiornaleSM, si parla molto dell’Accordo di Associazione tra San Marino e l’Unione Europea. Se ne parla con toni trionfalistici, spesso vaghi, a volte ideologici, quasi sempre poco trasparenti. Sembra che davanti a noi ci sia una scelta obbligata: o firmiamo tutto, oppure rimaniamo isolati dal mondo, tagliati fuori dai mercati, dai servizi, dal futuro.

TUTTO CIO’ E’ FALSO!

Questa narrazione, ripetuta a memoria da chi ha scelto da tempo di non interrogarsi più, è falsa. E pericolosa. Esiste infatti un modello già esistente, funzionante, concreto, che dimostra che si può avere un rapporto solido, costruttivo e vantaggioso con l’Unione Europea senza diventare parte passiva di un meccanismo mastodontico che non siamo né pronti né attrezzati a governare. Questo modello ha un nome, semplice e inequivocabile: Svizzera.

La Confederazione Elvetica non ha mai fatto parte dell’Unione Europea. Non è nemmeno nello Spazio Economico Europeo. Eppure, commercia ogni giorno con i Paesi dell’UE. Le sue imprese operano liberamente nel mercato unico. I suoi cittadini viaggiano, studiano, lavorano e si muovono nel continente con più libertà di noi. Come ha fatto? Non aderendo. Non associandosi. Ma trattando.

Il rapporto tra Svizzera e Unione Europea è lungo, complesso, e merita di essere raccontato. Nel 1992, la Svizzera firmò l’accordo per entrare nello Spazio Economico Europeo (EEA), al fianco degli altri Paesi EFTA (Associazione Europea di Libero Scambio). Ma fu proprio il popolo svizzero, con un referendum, a respingere quell’adesione. La scelta fu netta: i cittadini elvetici volevano relazioni forti con l’Europa, ma senza diventare parte di un sistema che impone norme senza contraddittorio.

Da quel momento, la Svizzera ha costruito una fitta rete di accordi bilaterali settoriali, uno per uno, con pazienza e determinazione. Quegli accordi regolano oggi ogni aspetto del rapporto con l’Unione: dalla libera circolazione delle persone al trasporto aereo, dal riconoscimento tecnico dei prodotti alla cooperazione scientifica, dalla fiscalità al commercio agricolo. Ogni intesa è stata negoziata in base agli interessi nazionali, con clausole precise, margini di adattamento e possibilità di revisione.

Nel 2002 sono entrati in vigore i cosiddetti Bilaterali I. Nel 2005, i Bilaterali II. Tutti insieme, costituiscono il vero “trattato svizzero con l’UE”, ma senza obbligo di adesione al diritto comunitario, senza Corte di Giustizia europea, senza supremazia automatica delle norme UE COME INVECE VORREBBERO FARE I POLITICI SAMMARINESI CON SAN MARINO.

In altre parole: la Svizzera partecipa, ma non si sottomette. E questo la rende, agli occhi dell’UE stessa, uno dei partner più credibili e solidi, anche se – formalmente – è fuori.

San Marino avrebbe potuto, e può ancora oggi, percorrere questa strada. E in parte l’ha già fatto: basti pensare all’accordo doganale del 1991, all’accordo monetario del 2012, a quello sulla firma elettronica. Non ci manca la storia diplomatica, né i precedenti tecnici. Quello che manca oggi è la visione. Il coraggio di opporsi ad un disegno già stabilito dai potenti di turno a cui alcuni politici si inchinano senza considerare il bene superiore che è quello del paese.

Ci vogliono tutti arrendevoli di fronte all’Europa, come se firmare in blocco fosse un atto di modernità. Non lo è. È, al contrario, una scorciatoia piena di rischi.

Il trattato di associazione che stiamo per sottoscrivere è un documento enorme, pieno di vincoli, ma privo di reali garanzie.

Si dice che ci porterà libertà, diritti, sviluppo. Ma in cambio di cosa? In cambio di una adesione silenziosa al diritto europeo, con un numero imprecisato di normative da recepire, con un peso amministrativo che rischia di schiacciare la nostra struttura istituzionale, con una riforma implicita del nostro sistema giudiziario, amministrativo e legislativo, che nessuno ha il coraggio di ammettere apertamente.

Chi giudicherà le controversie? Quale sarà la gerarchia delle fonti? Come si comporterà il nostro Tribunale quando dovrà interpretare norme europee sovrapposte a quelle sammarinesi? Sono domande fondamentali, ma che restano senza risposta. Nessuno, al momento, è stato in grado di spiegare come si articoleranno i rapporti istituzionali tra San Marino e le autorità europee. Eppure proprio quella parte dell’accordo – la più importante – non è mai stata presentata alla cittadinanza. Una parte che non riguarda solo tecnicismi, ma la nostra capacità di decidere, legiferare, rappresentarci.

E poi c’è l’altro lato: cosa otteniamo in cambio? I sostenitori dell’accordo parlano genericamente di vantaggi. Ma quali? Non avremo accesso automatico ai fondi strutturali europei. Non avremo rappresentanza nel Parlamento europeo. Non avremo diritto di voto né diritto di veto. Non potremo influenzare le norme che saremo obbligati ad applicare.

In altre parole: accettiamo tutto, ma non contiamo nulla. Firmiamo, ma non decidiamo. Subiamo, ma non contrattiamo.

E non solo. Le imprese sammarinesi che realmente potranno trarre beneficio da questo accordo saranno poche. Le grandi, le internazionalizzate, quelle con studi legali e consulenti fiscali in grado di navigare nei meandri della burocrazia europea. Per tutte le altre – la stragrande maggioranza – arriveranno solo oneri, concorrenza, requisiti tecnici stringenti, senza strumenti di protezione. Nessun paracadute. Nessun fondo di compensazione. Nessuna gradualità vera.

Anche sul piano sociale, le implicazioni sono pesanti. L’apertura ai flussi di persone, garantita dall’accordo, è presentata come una conquista. Ma in un microstato come il nostro, con mercato immobiliare limitato, welfare delicato, equilibrio demografico precario, è legittimo domandarsi: con quali strumenti gestiremo questa nuova mobilità?

Con quale efficacia controlleremo i flussi?

Come eviteremo che San Marino diventi un rifugio residenziale di comodo per ricchi e speculatori, mentre i sammarinesi veri finiranno ai margini, senza casa, senza accesso, senza prospettive?

Di fronte a tutto questo, continuo a chiedermi: perché non ci siamo ispirati al modello svizzero? Perché nessuno ha nemmeno preso in considerazione l’ipotesi più semplice, ovvero quella di un sistema di accordi bilaterali, costruiti uno a uno, in base alle nostre esigenze e capacità? Forse perché è più difficile. Più lento. Più impegnativo. Ma anche più serio. Più responsabile. Più rispettoso della nostra storia.

Non si tratta di essere contro l’Europa. Si tratta di essere a favore di San Marino. Di difendere la nostra autonomia. Di negoziare da pari a pari, come fanno i Paesi che si fanno rispettare. Di scegliere, e non subire.

Chi oggi dice che non c’è alternativa mente. L’alternativa esiste. La conosciamo. La pratica ogni giorno uno Stato che, pur restando fuori dall’Unione, ha rapporti con l’Europa più forti, stabili e vantaggiosi dei nostri. La Svizzera non ha perso nulla della sua sovranità. Eppure commercia, dialoga, cresce. E lo fa a testa alta.

San Marino può fare lo stesso. Se solo lo volesse. Ma lo vogliamo?

Marco Severini – direttore GiornaleSM