
Lockdown generalizzato e fine della “panacea” finanziaria degli acquisti della Banca centrale europea: è questa la sovrapposizione tra scenari di crisi che il governo italiano teme come presupposto della “tempesta perfetta” sul Paese. Se da un lato il lockdown generalizzato è l’equivalente sanitario di un default sul piano finanziario, in quanto scelta necessaria nella fase in cui si ammette l’incapacità di contenere la corsa del coronavirus, dall’altro la riduzione dell’esposizione dell’Eurotower sui debiti sovrani dei Paesi europei, perorata da alcuni “falchi”, avrebbe effetti rovinosi sul sistema economico.
Un lockdown totale, secondo l’economista Sergio Cesaratto, docente all’Università di Siena, creerebbe problemi anche sul fronte della produzione perché già “con le attuali restrizioni è in corso un calo del Pil, che diventerebbe molto più importante in caso di lockdown generalizzato, soprattutto se colpisse anche il settore manifatturiero”, come l’accademico ha dichiarato a Il Sussidiario. Un’eventualità del genere renderebbe necessario un aumento emergenziale della spesa pubblica, vincolato però non a piani strategici per la ripresa, già sino ad ora estremamente carenti, ma alla necessità di tamponare le falle momentanee (ristori, cassa integrazione in deroga, sussidi anti-disoccupazione, garanzie ai prestiti). Di conseguenza, “con un Pil in calo e un debito in continua crescita è chiaro che le condizioni della finanza pubblica si aggraverebbero agli occhi dei mercati” se a sostenerle non ci fosse il grande fattore di livellamento connesso alla sponda strategica di Francoforte, che per il 2020 ha stanziato oltre un trilione di euro in piani di acquisto titoli.
Il lockdown è un salto nel buio: si sa quando si entra nella zona di confinamento, non si hanno certezze sull’uscita e, soprattutto, sulle ripercussioni sociali, economiche e politiche di medio e lungo periodo. I due mesi di confinamento primaverile, col virus intento a travolgere ogni barriera, a dilagare nel Nord Italia cuore pulsante e motore industriale del Paese, a non fermare la sua corsa se non dopo settimane di isolamento, sono stati giustificati dal fatto che il Paese, primo in Europa, è stato colto impreparato. Ripetere un’esperienza del genere a cavallo tra l’autunno e l’inverno risulterebbe assai meno sostenibile, e rappresenta lo scenario limite per il governo che, al contempo, teme le azioni dei falchi nordici in ambito Bce per frenare i piani d’acquisto dell’Eurotower o vincolarli all’adesione della componente di prestiti dei pacchetti Ue (dal Mes alla parte extra-sussidi del Recovery Fund).
Di recente ha tuonato Jens Weidmann, numero uno della Bundesbank e falco del rigore in una Germania sempre in cerca del compromesso, iniziando a settembre e proseguendo nelle settimane successive a sostenere l’idea secondo cui la politica monetaria della Bce non può essere un sostituto delle politiche fiscale dei vari Stati membri e che il maxi-Qe messo in campo da Christine Lagarde sta prendendo la forma di finanziamenti diretti dei deficit sovrani tramite acquisti obbligazionari di massa e sistematiche deroghe ai criteri proporzionali della capital key. Tale regola, sospesa dalla governatrice Lagarde a marzo, impegna la Bce ad acquistare, mensilmente, proporzionalmente al volume di ogni economia. Per l’Italia tale percentuale è pari all’11,8% della manovra della Bce.
A Weidmann si è aggiunto il governatore della banca centrale lussemburghese Yves Mersch, che ha proposto il mantenimento dei programmi a patto che vengano aggiunti ad essi fattori penalizzanti in termini di accessibilità al piano emergenziale Bce (Pandemic Emergence Purchase Plan, Pepp) per gli Stati che non fanno pieno utilizzo di tutti gli strumenti messi a disposizione dall’Ue. Fattispecie che nessuno Stato sembra voler applicare, compresa l’Italia. In casi come quelli prospettati dai due banchieri, nota Cesaratto, “verrebbe di fatto eliminato l’unico vero sostegno europeo in questo difficilissimo frangente. Già nella precedente crisi dei debiti sovrani l’Eurotower è stata l’unica a fare qualcosa di concreto. E anche oggi è così”.
Se una svolta di questo tipo inchiodasse Roma nella fase di lockdown, nel momento di massima vulnerabilità, potremmo vedere scene simili a quelle vissute nelle settimane da tregenda di inizio marzo: schianto di Piazza Affari, minaccia alle imprese strategiche, malessere sociale, sostanziale anarchia economica. Il tutto aggravato da un anno di recessione in doppia cifra: uno scenario da incubo. Che bisogna prevenire, in primo luogo, rimediando alle lentezze sul fronte sanitario e iniziando a capire come incasellare sul lungo periodo i proventi dei primi mesi di sostegno Bce, che hanno favorito notevolmente la corsa dei Btp. Non bisogna girarci troppo attorno: la sommatoria tra un nuovo lockdown e la fine del sostegno Bce significherebbe la rovina del Paese. L’Italia ha la possibilità di evitare il primo e deve fare sponda coi Paesi mediterranei per acquisire il capitale politico necessario a prevenire il secondo scenario. In gioco c’è la tenuta del sistema-Paese.
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