Se Enrico Letta, come alcune sue recenti esternazioni lasciano intuire, si sta acconciando all’idea che l’unica soluzione alla roulette russa sul Quirinale (con l’incognita Berlusconi che atterrisce la sinistra) sia quella di creare un accordo largo su Mario Draghi, le sue parole di mercoledì sulle «sostituzioni» da fare nelle future liste elettorali non sono il viatico migliore.
«Oggi sono io il coach, e ho lo sgradevole compito di fare le sostituzioni, anche se in squadra c’è un Ronaldo ma serve maggior freschezza in campo», ha detto alla platea dei sindaci dem riuniti a Roma. Il messaggio è stato registrato immediatamente così: l’ala riformista ex renziana, oggi maggioritaria nei gruppi parlamentari, è destinata all’epurazione. Non esattamente il viatico migliore per avere il controllo delle truppe, quando si tratterà di eleggere il successore di un Sergio Mattarella che continua a rifiutare il bis. «Con quale entusiasmo i parlamentari dem potrebbero seguire l’indicazione di voto per il Colle di un segretario che non solo tifa per le elezioni anticipate, ma già promette di farne fuori una buona parte?», è la domanda retorica di uno dei diretti interessati.
Man mano che si avvicina la data della scelta, gli scenari possibili si riducono: o si blinda un’intesa trasversale tra leader (Salvini, Letta, Meloni, Berlusconi più Conte o Di Maio per i Cinque Stelle) che porti Draghi al Quirinale già alle primissime votazioni, quelle con la proibitiva maggioranza dei due terzi; oppure si apre una lotteria nella quale tutto è possibile. E uno degli attori che possono «determinare la partita», spiega un ex uomo di governo centrista, è proprio il «divisivo» Berlusconi: «In questa fase ha le carte per ergersi a kingmaker di un accordo ampio, ponendo le sue condizioni. Altrimenti può decidere di chiamare a raccolta i suoi e candidarsi, facendo cambiare radicalmente la natura della contesa: a quel punto si andrebbe al quarto scrutinio, con un testa a testa tra schieramenti, e il centrosinistra in grande difficoltà perché non ha ancora trovato un nome che possa compattarlo e raccogliere voti anche sul fronte opposto». Un «ballottaggio tra Berlusconi e un candidato X dei giallorossi», come lo definisce l’azzurro democristiano Gianfrando Rotondi: «E se il centrodestra riuscisse a rimanere compatto, Berlusconi potrebbe trovare molti più dei 50 voti circa che gli mancherebbero per raggiungere quota 504», ossia la metà più uno dei 1007 attuali grandi elettori. Dove? In quella vasta «terra di mezzo» di gruppo misto, centristi, grillini scappati di casa, singoli parlamentari anche di centrosinistra che vogliono evitare a ogni costo il voto anticipato e sperano in una permanenza di Draghi a Palazzo Chigi fino a fine legislatura per trasformare il quadro politico e cambiare la legge elettorale, e magari assestare un ceffone all’invadenza della magistratura nel campo della politica. C’è un «se» grande come una casa, di mezzo: la «compattezza» del centrodestra evocata da Rotondi. «Quelli di Fi sono i primi a non volere Berlusconi candidato – dice il dem Enrico Borghi – perché senza di lui il loro partito rischia di andare in mille pezzi». E Giorgia Meloni, spiegano al Nazareno, è ormai arruolata nel campo pro-Draghi al Colle: «Partecipare alla sua elezione sarebbe la sua piccola Fiuggi, l’unico modo per legittimarsi e uscire dal ghetto dei paria d’Europa».
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