La Tribuna. Due pensionati per tre lavoratori: così il sistema pensionistico non ce la fa più

Pensioni più basse, contributi più alti per i lavoratori autonomi, e versamenti obbligatori per la pensione complementare: in arrivo il ciclone Podeschi)

La legge del 2005 non basta più. Purtroppo, sebbene tutto il Paese sia andato in ‘rivolta’ quando l’allora Segretario di Stato Massimo Rossini, introdusse la riforma del regime pensionistico, neppure quel duro intervento che alzava i contributi da pagare, allungava il periodo di lavoro e riduceva la pensione, viene giudicato ora sufficente per garantire nei prossimi anni l’equilibrio dei fondi e quindi l’erogazione delle pensioni. I dati sono drammatici e sono dovuti al fatto che sempre meno genete lavora e sempre più gente va in pensione. Nei prossimi 50 anni la spesa per pensioni passerà dagli attuali 100 milioni di euro a oltre 1700 milioni , con un tasso di crescita annuo del 5.6%, contemporaneamente la raccolta contributiva passerà dai 100 milioni attuali a circa 900 milioni, con un tasso di crescita del 4.2%. Lo scompenso è di 800 milioni: insopportabile. La causa è da ricercarsi nell’evoluzione demografica delle varie gestioni (quella dei lavoratori subordinati in particolare) che porta il rapporto tra numero di prestazioni pensionistiche e lavoratori attivi da un valore iniziale del 31% (1 pensionato ogni tre lavoratori circa nel 2009) ad uno del 78.6% (oltre due pensionati ogni tre lavoratori), valore palesemente insostenibile per qualsiasi sistema previdenziale. Per mettere in sicurezza il sistema allora la Segreteria all’Iss propone di aggregare per macro categorie i fondi (unificando tutte quelle dei lavoratori autonomi in un unico fondo) e sopratutto questa categoria che oggi crea evidenti problemi, subirà adeguamenti sia per quanto riguarda le aliquote che verranno elevate tutte e rese unitarie, sia per quanto riguarda i redditi minimi dichiarati. Ma il cambiamento più significativo riguarda l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni e a 45 gli anni di contribuzione che consentono il pensionamento al di là dell’età anagrafica (oggi vige la regola del 40-60). Un taglio verrà fatto sulle pensioni più elevate a partire dai 21.000 euro, ma il tasso di sostituzione subirà una riduzione quindi la pensione si allontanerà ulteriormente dai valori dell’ultimo stipendio. Ecco allora nascere la necessità di introdurre il secondo pilastro, la pensione complementare, che basa la sua efficacia sui rendimenti. La complementare sarà obbligatoria e il fondo che si costituirà verrà gestito dall’Iss, mentre i contributi verranno versati metà dai lavoratori e metà dai datori di lavoro. L’aliquota di legge sarà del 8% (4+4).