I magistrati di Roma contestano pure il peculato agli uomini della vecchia struttura del commissario. Il sospetto: sapevano delle maxi provvigioni
Si allungano nuove ombre sulla struttura del commissario straordinario per l’emergenza Covid e riguardano il periodo in cui era guidata da Domenico Arcuri. Nell’inchiesta sulla fornitura da 801 milioni di mascherine cinesi pagate 1,25 miliardi di euro gli inquirenti romani, coordinati da Michele Prestipino, stanno contestando a uno o più persone un reato sino a oggi tenuto segreto, quello di peculato, ovvero l’appropriazione indebita propria dei pubblici ufficiali.
In pratica uno o più indagati avrebbero distratto dalla destinazione prevista i beni a loro affidati. In questo caso la contestazione potrebbe riguardare le provvigioni.
Il sospetto è che chi ha pagato 1,25 miliardi di euro ai tre consorzi cinesi fosse consapevole che una parte di quei fondi, circa il 6 per cento, non fosse destinato all’acquisto dei dispositivi di protezione, bensì alle commissioni destinate agli intermediari attualmente indagati per traffico illecito di influenze, reato aggravato dal numero di persone coinvolte e dalla transnazionalità. Una versione, quella della consapevolezza delle commissioni, sempre negata, per esempio, da Arcuri.
Quest’ultimo e il responsabile unico del procedimento Antonio Fabbrocini, il 9 novembre, erano stati iscritti sul registro degli indagati con l’accusa di corruzione. Una ventina di giorni dopo, la Procura chiese la loro archiviazione, proscioglimento che il gip Paolo Andrea Taviano non sembra avere ancora concesso.
Sul fronte degli intermediari restano invece sotto inchiesta per traffico illecito di influenze sei persone, tra cui il giornalista in aspettativa Mario Benotti, l’imprenditore milanese Andrea Tommasi, il finanziere sammarinese Daniele Guidi e il trader ecuadoriano Jorge Solis (accusato anche di riciclaggio), mentre ad altre due donne viene contestata la ricettazione e l’impiego di denaro di provenienza illecita.
La novitàdella contestazione del peculato emerge da un filone segretissimo dell’inchiesta che non era mai emerso negli atti sino a oggi depositati. Infatti è contenuta nella richiesta di rogatoria internazionale inviata a San Marino, dove il commissario della legge Elisa Beccari ha incaricato la Polizia civile – gruppo interforze di acquisire la documentazione per rispondere all’istanza dei pm capitolini, inoltrata il 2 febbraio scorso e integrata il 4 marzo con ulteriore documentazione. Il decreto del magistrato è stato inviato anche ai direttori degli istituti di credito chiamati in causa e al procuratore del Fisco.
Gli inquirenti sono a caccia della fetta di provvigioni (12,5 milioni di euro) destinate al «gruppo Daniele», citate in uno scambio di mail (che La Verità ha raccontato in esclusiva il 23 gennaio, 10 giorni prima della trasmissione della rogatoria) tra Solis, considerato anello di congiunzione tra gli altri mediatori e le aziende cinesi, e Zhongkai «Marco» Cai, cittadino cinese residente a Roma, legato alle tre società che hanno fatturato le mascherine alla struttura commissariale e pagato le ricche provvigioni.
Il «gruppo Daniele» si riferisce a Guidi, banchiere sammarinese, a processo per il crac del Credito industriale sammarinese (di cui è stato amministratore delegato) e, come detto, indagato anche a Roma per la «cresta» sulle mascherine. Per scoprire se davvero Guidi abbia ricevuto provvigioni diverse da quelle fatturate in Italia, i pm Fabrizio Tucci e Gennaro Varone hanno chiesto ai colleghi sammarinesi di svolgere accertamenti bancari sul conto di Guidi e di una donna, Monica Aluigi, indicata negli atti come «coniuge di Mohamed Ali Ashraf» e soprattutto «ritenuta dalla Guardia di finanza italiana una prestanome di Guidi per ingenti movimentazioni di denaro».
Su indicazione dei pubblici ministeri italiani, i magistrati di San Marino, oltre ad acquisire la documentazione su tutti i conti «intestati e/o riferibili anche mediante schermo fiduciario» a Guidi e alla Aluigi, stanno verificando se due conti correnti, uno della Banca agricola commerciale di San Marino e uno della Cassa di risparmio della Repubblica di San Marino, siano riconducibili a Guidi.
Non è la prima volta che il nome di Ashraf, cittadino egiziano, viene accostato a quello di Guidi. Infatti i due erano finiti insieme sotto processo per un finanziamento milionario concesso dal Cis di Guidi. Un procedimento gemello per truffa era stato avviato dalla Procura di Rimini, in cui sono coinvolti Ashraf, Guidi e altre tre persone. A San Marino le accuse sono state archiviate e potrebbero seguire lo stesso destino le contestazioni in Italia.
Secondo gli inquirenti romani ci sarebbero provvigioni «occulte» di importo ben superiore rispetto ai 72 milioni sino a oggi accertati e che hanno portato al sequestro di conti correnti e beni degli indagati. Le indagini hanno condotto le toghe a identificare Cai «quale componente di un’organizzazione ben strutturata e coordinata di cui fa parte anche Guidi (Daniele, commercialista sammarinese, ndr), che […] ha ricevuto provvigioni non contrattualizzate per l’attività di intermediazione e/o consulenza prestata».
A quanto ammontano questi compensi. Nel decreto sammarinese si legge: «Il gruppo Solis, Guidi e Cai, a sua volta, pattuiva provvigioni per 12.500.000 cadauno. Quest’ultimo dato veniva tratto da una email sequestrata presso Jorge, intestata “Provvigioni Moon-ray” (una delle società di import- export che hanno firmato gli accordi con la struttura commissariale, ndr) con previsione dei pagamenti da destinarsi al “Gruppo Daniele”». Quindi oltre ai già individuati 72 milioni ce ne sarebbero almeno altri 37,5 ancora da scovare e nascosti all’estero.
Il commissario della legge, successivamente, ribadisce: «L’autorità giudiziaria italiana riferisce inoltre che dalle email acquisite nel corso delle perquisizioni risulta che Daniele Guidi abbia partecipato alla divisione dei profitti derivanti dal su descritto reato per un importo pari a 12.500.000 di euro».
Giacomo Amadori e Francois de Tonquedec/La Verità