
Sull’argomento del contendere, inutile fare supposizioni. Perché tutti assicurano che trattasi di un «cordiale scambio» di vedute sulla politica estera, senza alcun approfondimento nel dettaglio dei tanti dossier – soprattutto quelli esteri – ad oggi sul tavolo del governo. Poi, certo, il fatto che Mario Draghi sia andato al Quirinale per far visita a Sergio Mattarella tra mercoledì e giovedì pomeriggio della scorsa settimana non è un dettaglio. Anche perché la cronaca dice che poche ore dopo venerdì in tarda mattinata il capo dello Stato ha avuto un lungo faccia a faccia con Giorgia Meloni. In agenda «da giorni», assicurano da Palazzo Chigi e confermano dal Colle, ma che comunque è stato decisamente più lungo del previsto, tanto che la premier ha dovuto rinunciare alla sua trasferta a Udine dove avrebbe dovuto partecipare al comizio di chiusura della campagna elettorale per le regionali del Friuli Venzia-Giulia.
Senza entrare nel merito del colloquio tra Mattarella e Draghi e pure di un incontro che in quelle stesse ore il capo dello Stato avrebbe avuto con Paolo Gentiloni, commissario Ue all’Economia è difficile immaginare che uno dei principali dossier sul tavolo non sia stato il Pnrr, i suoi tempi di attuazione, i temuti ritardi nel mettere a terra il Recovery e le eventuali responsabilità dei governi precedenti che hanno vistato il Piano e verso cui l’Europa sul punto insiste sia la premier Meloni che il ministro per gli Affari europei e il Pnrr, Raffaele Fitto ha sempre avuto «un approccio decisamente più conciliante» di quello di oggi. Un modo educato per dire che con Draghi a Palazzo Chigi c’era decisamente più flessibilità. Concetto che il governo ha messo nero su bianco la scorsa settimana con una nota in cui faceva notare che i tre target «oggetto di ulteriore approfondimento» da parte del Desk Italia sul Pnrr della Commissione Ue ragione per cui è ancora sub iudice l’ultima tranche 2022 di finanziamenti da ben 19 miliardi di euro riguardano tutti il precedente esecutivo guidato da Draghi: concessioni portuali («decreto inviato al Consiglio di Stato il 14 ottobre 2022»), reti di teleriscaldamento («interventi selezionati attraverso procedura di gara del 30 giugno 2022») e piani urbani integrati relativi al Bosco dello sport di Venezia e allo stadio Artemio Franchi di Firenze («approvati il 22 aprile 2022»). Considerando che il governo Meloni è in carica dal 22 ottobre dello scorso anno, non serve leggere tra le righe per capire il messaggio.
Di tutto questo, stando a quanto riferiscono gli entourage dei diretti interessati, Draghi e Mattarella non avrebbero parlato. Poi c’è la cronaca. Quella che vede Meloni salire al Colle venerdì – 24 ore dopo Draghi – per un faccia a faccia di due ore. Con il Quirinale – racconta il tam tam – preoccupato dalla tempistica di realizzazione del Pnrr. Ed è difficile pensare che non sia lo stesso timore dell’ex numero uno della Bce. Che – considerando anche la sua ritrosia alla pubblica ribalta – difficilmente sarà contento di essere tacciato come il principale responsabile degli attuali ritardi. Anche se Giovanbattista Fazzolari – non solo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma soprattutto uno dei pochissimi eletti del cerchio magico di Meloni – assicura che tra la premier e Draghi c’è «un rapporto di grande stima». E sul Pnrr «stiamo sistemando molte cose che non vanno», fatte «in modo troppo frettoloso dal governo Conte 2». È il calumet della pace per Draghi. Chissà se davvero lo fumerà.
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