Provare a descriverlo sarebbe inutile (se non dannoso) come provare a spiegare con parole proprie il verso di una poesia. Perciò, guardate il video qui sotto: si fa prima e molto meglio (la tecnologia ha i suoi vantaggi). Fate attenzione al secondo replay, quello da dietro. Al doppio passo di danza, con pallone fermo, con cui Ronaldinho, allora al Barcellona, manda in confusione Ricardo Carvalho del Chelsea. E poi, d’esterno, fa passare il pallone in un corridoio assurdo (in questo caso il replay migliore è quello da dietro la porta) e segna il suo gol più bello. E uno dei più belli di sempre.
Sono 3 secondi in cui c’è tutta la storia di Ronaldinho. Primo, perché in quei 3 secondi c’è anche una perfetta sintesi di che cosa può essere il calcio brasiliano. Una grazia di movimento che solo quel popolo al mondo possiede, a cui si aggiunge il genio del calcio (quello che non sai mai dove si manifesterà, ma hai buone probabilità di trovarlo più spesso da quelle parti). Secondo, perché quel gol non servì a nulla: il Barcellona perse 4-2 e fu eliminato dal Chelsea di Mourinho. Il trionfo in Champions, e il conseguente Pallone d’oro, arrivarono l’anno dopo (2006), nella stagione magica in cui arrivò anche la vittoria in Liga.
Ma quelli sono successi che restano negli albi d’oro. Mentre da nessuna parte, se non nella memoria, di quella stessa stagione resta la standing ovation del Santiago Bernabeu, dove il Barça andò a vincere 4-0, Ronaldinho segnò due gol quasi identici perché uno più bello dell’altro. E a quel punto successe qualcosa mai visto prima né dopo: l’intera tifoseria avversaria (ed è dir poco) in piedi a battere le mani.
Ed eccoci arrivati al terzo motivo per cui in quel gol di Ronaldinho al Chelsea c’è tutto quello che bisognerà ricordare di lui, ora che ha ufficialmente dato l’addio al calcio. Ed è la sproporzione, davvero enorme, tra la quantità di talento che il Gaúcho ha avuto in dote e quanto ne ha effettivamente sfruttato e (soprattutto) fatto vedere e regalato a noi.
L’idolo calcistico di Diego Maradona si chiama Ricardo Bochini. Un argentino che, per molti connazionali, se la gioca davvero con El Pibe quanto a grandezza. Peccato che avesse un difettuccio, riassumibile nella sua strepitosa frase citata da Jorge Valdano nel libro «Il sogno di Futbolandia»:«Una volta gli chiesero un’opinione su Johan Cruyff, e la sua risposta fu quasi una definizione: “Corre molto, però gioca bene”». Ora, rispetto a Bochini, Ronaldinho ha avuto la forza di volontà e la predisposizione alla fatica di un Furino. Però la famiglia di appartenenza è quella: in cui giocano calciatori che verrebbe voglia di strozzarli, per tutto quello che ci avrebbero potuto regalare. Ma poi si va a fare un giro su YouTube e si finisce per perdonarli. (E, volendo, anche in questo c’è tutto il Brasile). Il Corriere.it