E l’Alto commissario Onu disse: «Trump e Farage sono come l’Isis»

dowAl-Hussein, principe giordano designato nel 2014 ad occuparsi diritti umani: «Usano le stesse tattiche di comunicazione: mezze verità e semplificazioni»

NEW YORK I populisti come Geert Wilders, Donald Trump, Nigel Farage, Victor Orban, Marine Le Pen «usano le stesse tattiche di comunicazione» dell’Isis: «mezze verità, iper semplificazioni».

Zeid Raad Zeid al-Hussein è l’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu. Il primo musulmano a ricoprire la carica. Principe giordano, nato ad Amman 52 anni fa, figlio di un dignitario di corte e di una svedese, Zeid è un diplomatico dal linguaggio insolitamente diretto che poggia su una base di robusta autostima.

L’altro giorno, lunedì 5 settembre, è stato invitato a tenere il discorso al gala della Peace, Justice and Security Foundation, all’Aia in Olanda. Tutti si aspettavano un pistolotto convenzionale, con belle parole e qualche formula generica. Zeid, invece, si è presentato con queste parole: «Mi rivolgo al signor Geert Wilders, ai suoi accoliti e a tutti quelli come lui, i populisti, i demagoghi e gli illusionisti politici. Per tutti loro io devo essere una sorta di incubo. Io sono la voce globale dei diritti umani, dei diritti universali, eletto da tutti i governi, sono ora il critico di quasi tutti i governi».

Il 16 giugno del 2014, la nomina di Zeid, proposta dal segretario generale Ban Ki-moon fu approvata all’unanimità dai 193 Paesi membri dell’Onu. Fu sostenuto dalle principali organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International. Solo la rivista Foreign Policy provò a seminare dubbi: Zeid proveniva pur sempre da un Paese, la Giordania, che ancora non garantiva in pieno la libertà di critica in materia religiosa.

A due anni di distanza il principe giordano è ancora accompagnato da una buona reputazione nel Palazzo di Vetro. Certo, all’Aia ha dato prova di coraggio politico, assimilando la propaganda dei terroristi dell’Isis a quella di figure comunque influenti come Donald Trump, candidato alla presidenza degli Stati Uniti. «Non facciamo errori: non sto paragonando le azioni dei nazionalisti demagoghi a quelle dei terroristi del Daesh, che sono mostruose. Ma le due parti di quest’equazione ricavano un mutuo vantaggio: all’espan-sione degli uni corrisponde l’espansione degli altri».

Come molti esponenti delle élite arabe, anche Zeid ha studiato all’estero. Prima alla Reed’s School di Surrey in Gran Bretagna; poi alla Johns Hopkins University negli Stati Uniti. Dopo aver conseguito un dottorato di ricerca a Cambridge, il principe è tornato a casa: cinque anni nella Jordanian desert police e, subito dopo, l’inizio della carriera diplomatica, con un passaggio di due anni nell’ex Jugoslavia. Nel 1996 arriva a New York, vice e poi ambasciatore del suo Paese all’Onu.

Il suo profilo, le sue aperture attirano l’attenzione. All’Aia lui stesso ha tirato le fila: «Sono un musulmano che è anche di pelle bianca e ciò confonde i razzisti. Mia madre è un’europea, mio padre un arabo. E sono arrabbiato anch’io, ma per le bugie, le mezze verità e le paure diffuse dai populisti». E fa a pezzi la foto della famiglia politica che abbiamo visto a luglio nella Convention repubblicana di Cleveland: Trump trionfante sul palcoscenico; Wilders e l’euroscettico britannico Farage entusiasti in tribuna. Vedremo le rispost

 Corriere.it