L’America non avrà i nostri segreti. Su facebook la privacy a rischio

facebookALTOLÀ a Facebook e agli altri colossi del web sul trasferimento dei dati personali dei cittadini europei verso i server americani in cui vengono conservati. Le garanzie di privacy per gli utenti non sono ritenute sufficienti.
Con una sentenza, destinata a fare discutere, la Corte di Giustizia Ue ha infatti rovesciato una decisione del 2000 della Commissione europea che riteneva gli Usa capaci di garantire un livello di protezione adeguato delle informazioni personali, tale da consentirne il loro trasferimento. D’ora in poi, quindi, si potrà vietare a Facebook, Google e soci di «conservare» negli Stati Uniti i dati degli iscritti europei.
Di fatto il massimo organo giudiziario comunitario ha accolto il ricorso presentato da un attivista austriaco e studioso del diritto, il ventottenne Max Schrems, che dal 2011 ha intrapreso una battaglia legale mettendo sotto accusa il ‘Safe Harbour’ (‘approdo sicuro’), ossia il regime che finora ha consentito alle aziende americane di spostare i dati personali dei propri utenti europei su server oltreoceano. A dare una mano al giovane giurista è stato, indirettamente, Edward Snowden, l’ex tecnico della Nsa (l’Agenzia di sicurezza nazionale americana) che nel 2013 ha denunciato una serie di programmi di sorveglianza di massa approntati dalle autorità statunitensi. La direttiva europea, in effetti, dispone che il trasferimento dei dati personali verso un Paese terzo possa avere luogo se tale Stato garantisce per i dati un livello di protezione adeguato. Elemento, ques’ultimo, che deve essere certificato dalla Commissione Ue, braccio esecutivo dell’Unione. Se il verdetto è affermativo – come è accaduto nel 2000 sulla base del ‘Safe Harbour’ – il trasferimento di dati può avvenire. Il problema nasce, come sottolinea la Corte di Giustiza europea, dal fatto che il ‘Safe Harbour’ è esclusivamente applicabile alle imprese americane che lo sottoscrivono, mentre le autorità pubbliche degli Stati Uniti non vi sono assoggettate. Peraltro – si legge sempre nella sentenza – «le esigenze afferenti alla sicurezza nazionale, al pubblico interesse e all’osservanza delle leggi statunitensi prevalgono sul regime dell’approdo sicuro». Insomma non è possibile escludere, come ha dimostrato il Datagate innescato dalle rivelazioni di Snowden, «possibili ingerenze da parte delle autorità americane nei diritti fondamentali delle persone» (settore in cui rientra appunto la privacy).

QUESTA sentenza è una «pietra miliare» che «mette in chiaro che la sorveglianza di massa viola i nostri diritti fondamentali» e «richiederà cambiamenti sostanziali» nella legge Usa, ha dichiarato Max Schrems ringraziando direttamente Snowden. In attesa delle mosse dell’amministrazione americana, intanto il potere di bloccare il flusso delle informazioni dal vecchio al nuovo continente torna in mano alle Autorità garanti della privacy. «Ora occorre una risposta coordinata a livello europeo anche da parte dei Garanti nazionali», ha dichiarato Antonello Soro, presidente dell’organismo italiano.
La Commissione europea – come ha spiegato il primo vicepresidente Frans Timmermans – ha assicurato che «nelle prossime settimane» presenterà un piano per dare attuazione alla sentenza. Il negoziato per modificare e rendere più sicuro il ‘Safe Harbour’ era in già corso da tempo. Probabile che ora ci sarà un’accelerazione.

IL CORRIERE DELLA SERA