
Ormai è deciso: il 2 giugno i sammarinesi andranno a votare nel Referendum per cambiare la Legge Elettorale. L’unico modo per scongiurare questo appuntamento sarebbe l’approvazione di una legge che recepisca in toto il quesito referendario. Questo però, nella sostanza, significherebbe buttare alle ortiche la parte maggioritaria dell’attuale norma, la qualcosa non è molto gradita alle forze che governano il Paese pur essendo una minoranza in virtù di una Legge Elettorale che gli ha graziosamente regalato, come premio di stabilità, la bellezza di un quarto dei componenti il Consiglio Grande e Generale, cioè 15 consiglieri.
Tra le altre cose, di fronte alla proposta di legge sulla materia elettorale, la maggioranza in prima lettura non ha dimostrato nessuna apertura, facendo muro e rimandando al mittente, cioè l’opposizione, la proposta avanzata. Ancora una volta chi governa ha compiuto il solito dannato errore: ha ritenuto il Referendum presentato un vero e proprio atto contro la maggioranza, mentre invece le forze politiche dovrebbero convivere più serenamente con la democrazia diretta, senza politicizzarla e considerandola come un semplice strumento attraverso il quale i cittadini hanno la possibilità di esprimersi rispetto ad un preciso, specifico tema.
E invece, anche il Governo dell’annunciato rinnovamento, si è comportato esattamente come i governi passati, i quali, senza neppure accorgersene, annebbiati dalla difesa delle poltrone, sono stati essi stessi i primi a politicizzare il referendum di turno.
Effettivamente ora il rischio che il Referendum, oltre a decidere o meno modifiche all’attuale legislazione in materia Elettorale, si tramuti in una verifica pro o contro il Governo è piuttosto alto. Viceversa, se da subito la maggioranza avesse avuto la disponibilità al confronto, probabilmente la raccolta di firme per attivare il referendum sarebbe stata evitata.
E’ chiaro che in questo modo la celebrazione del Referendum diviene molto rischiosa per la maggioranza, perché in caso di accoglimento del quesito il contraccolpo politico sarebbe inevitabilmente negativo e potente nei confronti di un Governo già di per sé in grade difficoltà, alle prese con problemi nell’economia, nel Turismo, nei rapporti con l’Italia (vedi il caso targhe), nel sistema bancario, nella Sanità.
L’unica via di uscita per la maggioranza e il suo Governo, a questo punto schiacciata tra l’incudine e il martello, sarebbe quella di vedere respinto il quesito referendario dagli elettori. Ma io mi chiedo come ciò possa avvenire, visti i risultati fino ad oggi ottenuti dall’Esecutivo scaturito con l’attuale Legge Elettorale. Chi potrà sostenere, tranne i “miracolati” delle Elezioni del 2016, la valenza del premio di stabilità nelle proporzioni attuali, addirittura un quarto del nostro Consiglio che permette l’ascesa al Governo della minoranza del Paese?
Il nostro sistema democratico poggia sulla democrazia rappresentativa, letteralmente snaturata dall’attuale premio di stabilità, che altera profondamente la rappresentatività delle forze politiche rispetto all’esito reale dell’esercizio del diritto fondamentale della democrazia: il voto!
Mi chiedo chi possa essere così autolesionista da voler mantenere in vita una Legge Elettorale ormai superata dalla realtà delle cose, che depotenzia le scelte dell’elettore fino a cancellarle e passarle di fatto addirittura ad un altro partito, ad un’altra coalizione ad un altro programma elettorale che nulla ha a che veder con il voto espresso dagli stessi elettori.
Per uscire dall’imbuto nel quale la maggioranza e il Governo si sono messi, è necessario scendere a più miti consigli e legiferare accogliendo il quesito referendario così sarà evitata la scomoda votazione. Sarebbe un bel coup di theatre. Ma a quale prezzo?