Non sembri strano, ma io penso che una riflessione sul dialetto in generale e su quello sammarinese in particolare, debba essere fatta, nella speranza che qualcosa arrivi anche là dove si discutono ed eventualmente si approvano le leggi. Dunque non sembri strano se di fronte a tutti i complessi problemi che occupano coloro i quali amministrano il nostro Paese, il sottoscritto sollevi un problema che appare sicuramente secondario, ma che, a mio avviso, secondario non lo è del tutto.
Recentemente il Gruppo Teatrale “Piccolo Teatro Arnaldo Martelli” ha organizzato un convegno sicuramente interessante e partecipato, che aveva proprio l’obiettivo di sollecitare l’attenzione verso la necessità di non fare morire il dialetto e semmai di valorizzarlo, con l’intento di non disperderlo. In tale occasione, tra le altre cose, si è sostenuto che il dialetto, nelle famiglie che hanno dimenticato la “lingua madre”, sia la lingua dell’amore: infatti, i primi suoni che il bambino sente e “beve” assieme al latte materno, sono i suoni della parlata della propria Terra!
L’Italia è uno dei Paesi al mondo in cui si parlano più dialetti, retaggio anche del periodo dei comuni e delle signorie, ma in effetti la storia dei dialetti camminano di pari passo con la storia della lingua italiana. Infatti, l’italiano deriva dal latino così come tutti i dialetti d’Italia ; tutte le lingue derivate dal latino venivano chiamate lingue volgari. Tra le altre cose va sottolineato che fino a relativamente pochi decenni fa in Italia si parlava solo il dialetto e, ovviamente, a San Marino, che geograficamente è collocato in mezzo alla Penisola Italica, le cose non funzionavano diversamente. Si pensi che “l’italiano” si chiama così solo dal 16° Secolo, quando si intendeva indicare il ”Toscano volgare”, che poi, in seguito, venne riconosciuto come lingua di tutta la nazione.
I dialetti più parlati sono circa una decina, tra i quali l’emiliano e il romagnolo e le minoranze linguistiche costituiscono uno dei punti fondamentali della composizione etnica italiana.
Fatto un quadro generale veniamo al nostro Paese. A San Marino, come già detto, lo stato delle cose era simile. La nostra parlata originale probabilmente risale al periodo in cui il nostro territorio comprendeva Città, Borgo e una lingua di terreno che arrivava a Domagnano, ma di quella parlata si sono perse le tracce nel tempo. Il nostro dialetto è stato contaminato da fattori determinanti: l’acquisizione di terre sul versante riminese e sul versante marchigiano; matrimoni tra cittadini italo/sammarinesi; l’arrivo di persone dai Paesi dell’Est.
Oggi quindi, chi pratica il dialetto tramanda la lingua “volgare” che ha sentito in famiglia, dai genitori, dai conoscenti più adulti. Io personalmente ho frequentato personaggi di notevole cultura, come il Prof. Giuseppe Rossi o di notevole statura politica come il Prof. Federico Bigi, i quali spesso sottolineavano i loro acuti ragionamenti con qualche frase in dialetto, la qual cosa rendeva tutto più comprensibile ed efficace, poiché il dialetto possiede una capacità di sintesi formidabile.
Il dialetto in effetti è la sintesi di una cultura locale e rappresenta il valore dell’appartenenza ad un luogo e, nella fattispecie, della storia, degli usi e dei costumi della nostra Comunità. Alcuni convegni sul dialetto hanno sostenuto che la globalizzazione che sta vivendo il mondo, con tutti i suoi pregi e difetti, può costituire una insidia per l’identità delle varie realtà. Questa eventualità deve, da noi sammarinesi, essere presa in seria considerazione, al fine di porre in essere tutte le azioni necessarie per rafforzare la propria identità, che, evidentemente, passa anche attraverso la salvaguardia della propria parlata tramandata fino ai giorni nostri.
Quindi, per concludere, io credo che si debba fare qualcosa per difendere, tutelare e fare conoscere ai giovani, oggi presi da tutto ciò che riguarda internet, ben lontani dai valori e dalle radici della propria Terra, il senso della valorizzazione del dialetto sammarinese e del bagaglio di esperienza di vita che esso rappresenta.
Ad esempio, perché non dare vita a San Marino ad un Festival del Teatro Dialettale, con la partecipazione delle migliori compagnie teatrali dilettantistiche italiane; e perché non pensare di insegnare nelle scuole il dialetto sammarinese. Sarebbe un messaggio forte, perché noi sammarinesi, io credo, dobbiamo avere chiaro il senso della conservazione (nel senso più nobile della parola) di noi stessi. Se non altro, per tutto ciò che hanno fatto e costruito i nostri predecessori.