La situazione generale del nostro Paese purtroppo non è rosea: l’economia, soprattutto di alcuni settori langue; il Tribunale è stato investito da lotte interne e accadimenti che ne hanno minato la credibilità; la burocrazia sta soffocando i cittadini, concepita com’è per le esigenze degli uffici più che per le esigenze della popolazione, così come invece dovrebbe essere; la Sanità fa acqua da tutte le parti perché sono stati adottati modelli inappropriati per la nostra realtà e per l’iper presenza della politica che invece dovrebbe tornare a lasciare spazio a primari e direttori delle Unità Operative; il senso dello Stato si è notevolmente affievolito; il rispetto per le nostre più autentiche tradizioni lascia molto a desiderare.
Le responsabilità sono indubbiamente assai diffuse, nel tempo sono stati trascurati molti segnali che avrebbero consigliato interventi atti a frenare il lento ma inesorabile sfaldamento della nostra Comunità.
Sarà un caso ma tutto è cominciato con la crisi dei partiti politici, i quali, con tutti i loro difetti, erano concepiti con vari filtri democratici interni e costituivano una scuola che preparava il personale politico, attraverso la così detta “gavetta”, che, bene o male, temprava i giovani e in qualche modo li preparava per il momento dell’inserimento nelle posizioni di comando o ai vertici delle istituzioni.
Scricchiolii del sistema probabilmente se ne erano manifestati anche prima, ma tutto cominciò a precipitare verso la fine degli anni “90, quando il “voto estero”, anziché essere gestito dai partiti è divenuto riserva di caccia da parte di taluni, i quali, all’interno della propria forza politica hanno assunto un ruolo molto pesante.
Parlo per l’esperienza vissuta nel PSS, ma credo sia stato più o meno cosi un po’ in tutti i maggiori partiti dell’epoca. Il “voto estero” per diversi lustri ha non solo condizionato la composizione delle compagini consiliari, ma conseguentemente ha anche determinato gli equilibri interni ai partiti, ha favorito il connubio politica affari, così come le più recenti cronache ci dimostrano, ha in pratica condizionato la vita democratica del Partito.
Con il passare degli anni e con gli accadimenti succedutisi, gradualmente ma pervicacemente, la classe politica, dimostrando grande disistima di sé stessa, ha favorito anche con interventi legislativi la demonizzazione della politica e dei politici. Il risultato è stato l’avvento di una nuova generazione che ha dato vita alla politica urlata, ha parlato più alla pancia che al cervello dei cittadini, ha promesso grandi cambiamenti, salvo poi dimostrare di essere un grande bluff una volta chiamati a governare il Paese.
Ora la realtà dimostra che in passato i sammarinesi avevano molti meno problemi rispetto ad oggi; i giovani potevano permettersi il lusso di sognare e sappiamo bene che il sogno è un motore importante nella vita di una persona. Oggi purtroppo l’incertezza e la precarietà fa vivere male, stipendi e pensioni sono fermi da anni ma il carovita aumenta inesorabilmente e in 10 anni il potere di acquisto dei cittadini è fortemente diminuito.
Il Consiglio Grande e Generale è praticamente commissariato da un sistema elettorale che invita a stare insieme forze politiche che insieme non possono stare, ma che per le stesse ragioni non possono esprimersi liberamente pena il fallimento del Governo. Così il dibattito politico è melenso, grigio, tutti stanno sotto il pelo dell’acqua, nessuno alza la testa. Tutti stanno al riparo del politicamente corretto, anche i giovani, che dovrebbero scalpitare se sognassero ancora.
In questa situazione il futuro del Paese rimane molto incerto se non si interviene drasticamente. Penso che si debba riscoprire la politica; che si debba cambiare l’attuale legge elettorale favorendo l’avvicinamento delle forze più omogenee e chiedendo la maggioranza dei voti sulla base di un programma serio e non raffazzonato; che venga abbandonata la squallida politica personalistica alla quale stiamo assistendo da qualche lustro, recuperando i partiti come indispensabile strumento di mediazione tra le esigenze della gente e le istituzioni, e come laboratorio per preparare il personale politico del futuro.
Se non si avrà il coraggio di fare questo l’asse inclinato su cui poggia in questo momento il nostro Paese non potrà tornare ad essere diritto e ci dovremo rassegnare al trionfo della mediocrazia con tutte le conseguenze del caso.
Occorre insomma un ritorno a futuro!
Augusto Casali