L’attentatore di Nizza e i contatti sul cellulare con gli islamisti

boul_MGTHUMB-INTERNAEsplora il significato del termine: Il trasferimento in un quartiere a Est dove la popolazione maghrebina arriva
all’80 per cento. «Si è radicalizzato di recente». Il medico che l’ha curato da adolescente: «soffriva di alterata percezione della realtà»Il trasferimento in un quartiere a Est dove la popolazione maghrebina arriva
all’80 per cento. «Si è radicalizzato di recente». Il medico che l’ha curato da adolescente: «soffriva di alterata percezione della realtà»

Sul marciapiede di boulevard de l’Ariane, davanti a una rosticceria senza insegne, all’ombra di tendine rosse, un gruppo di ragazzi aspira dai tubi di gomma di narghilè improvvisati e impreca: «Adesso lo sappiamo come va a finire, la colpa è des arabes». Un’altra volta degli «arabi» che, soprattutto maghrebini, qui a Est di Nizza arrivano all’80 per cento della popolazione. Barbe lunghe, magliette sportive o a torso nudo, ciabatte di gomma, s’arrabbiano per questa sovrapposizione e protestano che Mohamed Lahouaiej Bouhlel, lo stragista del 14 luglio, per di più era un «cattivo musulmano: beveva, picchiava, non digiunava per il Ramadan… Che c’entra con l’Islam? Solo perché era tunisino? Solo perché lo dicono i media?».

Il punto è che ieri mattina la rivendicazione dell’Isis l’ha definito «un soldato del Califfato». E anche il ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve, che fino a venerdì era rimasto cauto, ha dichiarato: l’attentatore «non si era distinto negli ultimi anni per un’adesione all’ideologia islamista radicale» ma «sembra che si sia radicalizzato molto rapidamente».

«Non si era distinto» e tutte le testimonianze a Nizza lo confermano: «Puzzava di alcol», «si radeva», e poi anche «tagliuzzava i peluche dei bambini», «era stato denunciato dalla moglie per violenza». Un matto aggressivo più che un fanatico religioso. A L’Express il dottor Hamouda, che l’aveva curato d’adolescente, in Tunisia, dichiara che «soffriva di alterazione della percezione della realtà, quindi di un principio di psicosi». Alla tv Bfm il padre stesso aveva raccontato delle «crisi» di cui era preda.

Da questa materia instabile, però, qualcuno in tempi recenti potrebbe aver plasmato un assassino di massa.
Il profilo che gli inquirenti stanno delineando di Bouhlel sembrerebbe questo, un uomo influenzabile, seguendo le tracce nascoste nel cellulare. «Contatti interessanti», scrive le Monde, conoscenze che rimandano alla vischiosa rete jihadista di Nizza, capace di spingere alla guerra un centinaio di foreign fighters. Alcuni dei nomi collegati a Bouhlel rimanderebbero al numero uno dei reclutatori locali, Omar Diaby (alias Omsen), ex ragazzino sbandato dell’Ariane, convertito in prigione all’Islam estremo, predicatore di fondamentalismo dei quartieri orientali, oggi quasi quarantenne combattente in Siria.
«C’è un’ingenuità della gioventù e una forte manipolazione diabolica», riflette il vicepresidente del Consiglio regionale del Culto musulmano, Boubekeur Bekri, che è anche rettore della moschea Al Fourkane proprio nel mezzo del boulevard de l’Ariane. Per far capire come si sente la comunità in questi giorni, tra le vittime che abitavano nel quartiere e l’attentatore che aveva preso casa poco distante, Bekri rallenta il fiato: «Un sospiro di dolore, tanti tengono dentro, come a dire “ancora una prova da superare”». Ha conosciuto ragazzi partiti per il jihad in Siria, «uno di loro è ancora lì»; ha portato le condoglianze a padri che sulla Promenade hanno perso i figli. Invoca ragionamenti meno superficiali: «Dobbiamo andare alle cause, capire il contesto».
«Il contesto è difficile», dice semplicemente Antonio D’Errico, frate italiano alla chiesa di Saint Pierre de l’Ariane che alla domenica, per sicurezza, viene presidiata dalla polizia: «Siamo accerchiati dalla droga, a venderla sono spesso minorenni. Tanti sono i disoccupati. E dove c’è miseria, c’è rischio maggiore di cadere nella trappola».

Corriere.it