Le cinque W che guidano il giornalismo anglosassone non sono tutte uguali. Le prime quattro – Who? What? Where? When? – riguardano i fatti, la quinta – Why? – le opinioni.
Manifesto, quindi, subito la mia di opinione. Io quando penso alla giurisdizione, e pure al Potere, che poi non sono neppure concetti troppo distinti, ai magistrati come “controparte” non riesco a pensare. Sarà che i magistrati fanno inevitabilmente parte della mia vita, con loro passo la maggior parte del mio tempo, e sono sinceramente convinto che svolgano un compito da far tremare i polsi, in più ne stimo molti.
Di contro, non nutro alcuna stima per la magistratura come Ordine che in Italia da oltre vent’anni pretende di farsi l’unico Potere privo di legittimazione popolare (la definizione è datata, ma pur sempre autorevole: Palmiro Togliatti all’Assemblea Costituente).
Sarà per questo che, quando il 9 aprile scorso Piercamillo Davigo è diventato presidente dell’ANM – in mezzo ad una pletora di perplessi che ne ricordavano storielle, paradossi e freddure, una su tutte “non esistono innocenti ma colpevoli non ancora scoperti” – ero soddisfatto.
Infatti, il personaggio è noto, e potrei dire che ha accompagnato la mia avventura professionale fin dall’inizio. Il dott. Sottile imperversava infatti sulle pagine dei giornali nei miei da studente universitario, e poi l’ho più volte incontrato, da studioso, in qualche convegno e, infine, da avvocato, nelle aule del Palazzaccio. Devo confessare che l’ho sempre ascoltato distrattamente, perché Davigo, sono certo non se ne offenderà, ha ai miei occhi una visione un po’ troppo schematica della giustizia: i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, e i buoni sono sempre e soltanto i magistrati; insomma sai da subito dove va a parare. Ma proprio qui sta la ragione della mia soddisfazione, perché a Davigo puoi dire davvero tutto, ma non che coltivi l’ipocrisia. Pure quando, come nell’intervista del 22 aprile sul Corriere – la quint’essenza di un intervento politico – si affanna a dire che non vuol parlare di politica, non riesce a non far trasparire come la pensa. La politica, anzi il Paese, è sporco, e non si ripulisce da sé, la giustizia (anzi la magistratura!) è perfetta e non c’è niente da cambiare.
Insomma, il solo problema degli italiani sono i politici, la loro unica salvezza i magistrati. Roba da superare a sinistra (oppure a destra, ancora non l’ho capito) Beppe Grillo.
Come si vede, una chiarezza cristallina. E proprio in questa chiarezza sta il merito di Davigo, ma pure il senso di una sfida. Ora, che dopo vent’anni di malriusciti infingimenti il nuovo presidente dell’ANM ci dice le cose come stanno, finalmente abbiamo l’occasione di chiedere agli italiani come la pensano. Insomma contiamoci, alla maniera di Davigo, i buoni da una parte ed i cattivi dall’altra. Da un lato quelli che pensano che basti un concorso vinto qualche decennio fa per fare di Davigo e dei suoi colleghi i salvatori della patria, dall’altra quelli che coltivano qualche dubbio in proposito. Sono certo che ne vedremmo delle belle, da una parte il capo del sindacato dei magistrati, che in due settimane ha già detto che lo scontro fra magistratura e politica è facilissimo da risolvere, basta che i politici smettano di rubare, che in fondo un’intercettazione è come una chiacchera al bar, che – come dicevano le nonne – “male non fare, paura non avere” – dall’altra qualcuno che ricordi le tante ingiustizie patite da qualche cittadino famoso e da moltissimi cittadini comuni a causa di magistrati poco accorti, che le intercettazioni la maggior parte delle volte vengono divulgate solo per infangare, o i tanti (la lista è lunga e sempre da aggiornare) magistrati che hanno utilizzato le manette per fare politica, insomma, che i magistrati son chiamati ad amministrare la giustizia e non investiti di qualsivoglia altro potere, men che meno di quello di custodi della pubblica virtù.
Se non si trova nessun volontario mi candido io, chè ve l’ho detto, Davigo mi sta simpatico.
Massimiliano Annetta, penalista