L’attacco degli Usa contro la base aerea da cui sarebbero partiti gli aerei che hanno sganciato bombe chimiche su una cittadina del nord della Siria ha destato enorme clamore internazionale. L’attacco solleva numerosi interrogativi sulla politica estera di Trump, il futuro della guerra civile siriana e le relazioni tra l’America di Trump e la Russia di Putin, principale alleato del presidente siriano Assad. Proviamo in breve a fare un po’ di chiarezza.
Perché Trump ha attaccato?
Trump ha giustificato l’intervento contro il regime di Assad come una rappresaglia contro l’uso di armi chimiche (proibite da una convenzione del 1997, di cui la Siria è parte) e a difesa dei dritti umani. Si tratta di una posizione in netto contrasto con quanto Trump stesso ha sostenuto per mesi (anzi, anni), e cioè che gli Usa non si devono interessare degli affari interni degli altri stati e che in Siria, comunque, la priorità è la lotta ad Isis. Siamo dunque di fronte ad una conversione sulla via di Damasco, col neo-presidente Usa già disposto ad abbandonare il più volte invocato principio dell’America first e tornare su posizioni più internazionaliste?
Presto per dirlo. Al momento è difficile resistere alla tentazione di vedere dietro all’attacco contro Assad un movente di politica interna. A tre mesi dalla sua inaugurazione, l’indice di gradimento dell’operato di Trump è tra i più bassi della storia recente. Dal Muslim ban bloccato dai tribunali al fallimento della riforma sanitaria, fino allo scandalo sui presunti contatti tra persone vicine al presidente e il governo russo, Trump è in difficoltà. Attaccare Assad è un modo per marcare una differenza con Obama – che nel 2013 si era rifiutato di intervenire nonostante il regime siriano avesse usato armi chimiche – e dare all’opinione pubblica americana un segnale di forza, riprendendo in mano l’iniziativa nel tentativo di tornare in controllo dell’agenda politica.
Qual è l’obiettivo dell’attacco?
Al momento, l’attacco sembra essere stato un atto dimostrativo rivolto a diversi interlocutori. Il primo è il regime di Assad, che Trump vuole dissuadere dall’usare ancora armi chimiche. Il secondo sono gli alleati di Assad, la Russia e l’Iran, che Trump ha messo sull’avviso dimostrandosi pronto ad usare la forza. Il terzo sono gli alleati regionali degli Usa, che Trump ha voluto rassicurare del fatto che l’America non ha paura di intervenire contro un alleato dell’Iran. Il quarto infine è la Corea del Nord, il cui programma nucleare (e balistico) è fonte di inesauribili tensioni, che il neo-presidente ha voluto ammonire.
Che cosa cambia sul terreno?
La Russia ha condannato l’attacco, sospeso un accordo volto a evitare la collisione delle forze russe e della coalizione anti-Isis a guida Usa nei cieli della Siria, e promesso di rafforzare le difese antiaeree del regime siriano. La conseguenza più immediata dell’attacco è quindi quella di aver aumentato il rischio di incidenti con la Russia. Tuttavia, se Trump vuole guadagnare potere negoziale sul futuro della Siria rispetto a Russia e Iran, al momento gli attori esterni più influenti sul conflitto, e ottenere il loro assenso alla deposizione di Assad nell’ambito di un processo di transizione post-conflitto, dev’essere disposto ad andare oltre. Al momento, né Mosca né Teheran vedono alcun interesse ad abbandonare un alleato prezioso, seppur scomodo, come il presidente siriano.
Che impatto avrà l’attacco sulle relazioni tra Usa e Russia?
Trump è notoriamente un estimatore di Putin e ha più volte detto che intende cercare un riavvicinamento alla Russia in funzione anti-terrorismo. Attaccando Assad tuttavia il presidente Usa ha reso difficilissimo per Putin “mollare” il regime siriano senza perdere la faccia. La prospettiva di un rapprochement russo-americano, già complicato dalle presunte interferenze russe nella campagna elettorale Usa, è oggi molto più remota. E la Russia, come ha dimostrato in Ucraina e altrove attraverso l’uso combinato di operazioni militari, forze speciali, propaganda politica, azioni cyber e diplomazia spregiudicata, ha un grande potenziale di destabilizzazione.
Che possiamo aspettarci per il futuro?
Questa è la maggiore incognita. L’attacco è stato ben eseguito: è stato comunicato a Mosca per evitare che militari russi finissero coinvolti, è stato giustificato non con propositi di cambio di regime ma sulla base del diritto internazionale, è stato proporzionato nelle dimensioni e diretto contro un obiettivo puramente militare. Sembra il frutto di un ragionamento prudente volto a punire Assad senza correre eccessivi rischi di escalation.
E tuttavia, a meno che Trump non sia pronto ad un coinvolgimento ben maggiore nel conflitto, non avrà grande impatto. L’attacco non cambia gli equilibri del conflitto, che vede Assad in netto vantaggio sull’opposizione grazie all’aiuto di Russia e Iran. L’attacco potrebbe inoltre complicare la lotta della coalizione a guida Usa contro Isis. Senza una qualche forma di coordinamento con i russi, anche una vittoriosa campagna contro i miliziani dello Stato islamico non risulterà in una maggiore stabilizzazione della Siria.