Le «cose nuove» nell’oggi di San Marino … di Don Gabriele Mangiarotti

Ho letto il discorso di Papa Leone ai PARTECIPANTI ALL’INCONTRO MONDIALE DEI MOVIMENTI POPOLARI e, oltre a consigliarvi di leggerlo integralmente, per comprendere l’attitudine della Chiesa nei confronti della umanità contemporanea, ho raccolto alcune perle del suo discorso che mi pare siano illuminanti per la nostra piccola grande esperienza.

«Ci sono certamente “cose nuove” nel mondo, ma quando diciamo questo, in genere adottiamo uno “sguardo dal centro” e ci riferiamo a cose come l’intelligenza artificiale o la robotica. Tuttavia, oggi vorrei guardare alle “cose nuove” con voi, partendo dalla periferia.

[…] Visto dai centri del potere mondiale… le cose veramente “nuove” sembrano essere i veicoli autonomi, oggetti o vestiti all’ultima moda, i telefoni cellulari di fascia alta, le criptovalute e altre cose di questo genere.

[…] Come dicevo, il normale discorso sulle “cose nuove” – con le loro potenzialità e i loro pericoli – omette ciò che accade alla periferia. Dal centro c’è poca consapevolezza dei problemi che colpiscono gli esclusi, e quando se ne parla nelle discussioni politiche ed economiche, si ha l’impressione che si tratti di «una questione aggiunta quasi per dovere o in modo tangenziale, se non trattata semplicemente come un danno collaterale. In effetti, alla fine dei conti, spesso rimangono in fondo alla lista delle priorità».

[…] Questo significa che i dinamismi del progresso vanno sempre gestiti attraverso un’etica della responsabilità, superando il rischio dell’idolatria del profitto e mettendo sempre l’uomo e il suo sviluppo integrale al centro.

[…] I telefoni cellulari, i social network e persino l’intelligenza artificiale sono alla portata di milioni di persone, compresi i poveri. Tuttavia, mentre sempre più persone hanno accesso a Internet, i bisogni primari rimangono insoddisfatti. Assicuriamoci che, quando vengono soddisfatti bisogni più sofisticati, quelli fondamentali non vengano trascurati.

[…] Nella Rerum novarumLeone XIII osservava che «le antiche corporazioni dei lavoratori sono state abolite nel secolo scorso, e nessun’altra organizzazione protettiva ha preso il loro posto». I poveri sono diventati più vulnerabili e meno protetti. Oggi sta accadendo qualcosa di simile, perché i sindacati tipici del XX secolo rappresentano ormai una percentuale sempre più esigua dei lavoratori e i sistemi di sicurezza sociale sono in crisi in molti Paesi; perciò, né i sindacati né le associazioni dei datori di lavoro, né gli Stati né le organizzazioni internazionali sembrano in grado di affrontare questi problemi. Ma «uno Stato senza giustizia non è uno Stato», ci ricorda sant’Agostino.

[…] Mi viene in mente una parabola, la parabola dello spirito immondo che viene scacciato via ma, ritornando, trova la sua antica dimora pulita, in ordine e allora organizza una lotta ancora peggiore. Nel vuoto ordinato lo spirito maligno è libero di agire. Le istituzioni sociali del passato non erano perfette, ma spazzando via gran parte di esse e adornando ciò che rimane con leggi inefficaci e trattati non applicati, il sistema rende gli esseri umani più vulnerabili di prima.

[…] Credo che le vie giuste partano dal basso e dalla periferia verso il centro.»

  1. Che cosa è veramente «nuovo», oggi, per noi? L’osservazione del punto di vista da cui ci mettiamo provoca a una lettura realista di ciò che sta realmente accadendo, e del compito urgente che ci è assegnato.

Pensate, per capire questo «partire dalla periferia verso il centro» persino un politico di sinistra, Aboubakar Soumahoro, «chiacchierato» per tante sue vicende in Italia, arriva a dire, come leggo in una intervista sul Foglio riportata da Nicola Porro: «Durante un’intervista al Foglio, ha dichiarato: “Viaggiare è piacevole, emigrare invece no”. Ha spiegato che questa differenza può essere compresa solo uscendo dai confini intellettuali che, a suo giudizio, vincolano la sinistra italiana… “Penso che per capire la migrazione si debba uscire dal perimetro del grande raccordo, dalla ztl. Penso che si sia rimasti agganciati a dei cliché intellettuali, che sono superati – ha spiegato – Penso poi che si dovrebbe ragionare da qui ai prossimi dieci anni. E che invece ci si riduce a ciò che si verifica da qui a mezzogiorno. In generale, vedo un distacco sentimentale e intellettuale. E una compulsione sui social utile solo all’acclamazione del momento…” “Dobbiamo decolonizzare la nostra mente, questo è il punto. E capire che, dall’emigrante siciliano al senegalese, non poter scegliere di restare, o di rientrare, è un problema. Non poter essere pionieri in patria, è un ostacolo da superare. Del diritto a restare ne parlavano prima di me Papa Francesco, Papa Benedetto, Giovanni Paolo II”».

  1. Non sarà ora di ripensare anche tra noi alla funzione del sindacatoe alla sua difesa del bene dei lavoratori, riappropriandoci della difesa del bene comune, di una cultura della vita, di una operosità che sappia custodire il patrimonio di valori che la nostra millenaria storia ci ha trasmesso?

  1. «Le istituzioni sociali del passato non erano perfette, ma spazzando via gran parte di esse e adornando ciò che rimane con leggi inefficaci e trattati non applicati, il sistema rende gli esseri umani più vulnerabili di prima»: impariamo da Papa Leone il realismo nel giudizio, e il rifiuto delle ideologie incapaci di mantenere la promessa di bene che si illudono di mostrarci.

L’amore alla nostra storia e la custodia della identità sono la garanzia di un futuro buono. L’illusione di trovare soluzioni migliori facendo piazza pulita del passato ha lasciato dietro di sé solo macerie.

In questo senso penso che la convinzione di Papa Leone («credo che le vie giuste partano dal basso e dalla periferia verso il centro») suggerisca una pista di lavoro imprescindibile. Quante volte abbiamo richiamato il discorso del Primo Ministro di Malta all’Insediamento dei Capitani Reggenti, in cui affermava: «Eccellenze, durante la mia attività politica a Malta e in qualità di osservatore appassionato degli affari internazionali, non ho mai smesso di credere che i piccoli Stati svolgano un ruolo importante sulla scena internazionale. Non tanto nello stabilire le difficili condizioni in materia di sicurezza, ma sicuramente nel contribuire ad un’agenda mirata, autentica e basata sui valori… In larga misura, il successo della politica estera di Malta nel corso dei decenni è stato determinato dal principio secondo cui le dimensioni territoriali non possono limitarne in alcun modo la visione e l’efficacia. Questo si applica pienamente a un contesto che conosciamo molto bene, quello dell’Unione Europea. Non solo si riconoscono agli Stati più piccoli la voce e lo spazio di cui necessitano e che meritano, ma questi paesi influenzano effettivamente i processi decisionali e sono, nel contesto attuale, una forza trainante per il rilancio del progetto europeo.»

don Gabriele Mangiarotti