Nel 2015 l’allora governo Renzi firmò il decreto di autorizzazione unica del Tap, al fine di consentire l’apertura di una nuova rotta di approvvigionamento di gas prodotto nell’area del Caspio.
Michele Emiliano, all’epoca ancora iscritto al Pd prima che Csm e Corte Costituzionale glielo vietassero in quanto pm, fece subito ricorso al Tar appellandosi al non rispetto della direttiva Seveso su incidenti rilevanti, e impugnando il decreto che non aveva tenuto conto del parere della Regione. Il Tar lo bocciò e lui passò al Consiglio di Stato. Anche lì i giudici lo respinsero confermando che erano state vagliate tutte le ipotesi di approdo e che quella di San Foca era la migliore. Non contento il Governatore si rivolse alla Corte Costituzionale che dichiarò inammissibile il conflitto di attribuzione.
Emiliano partì per Roma con tutti i sindaci del Pd del Salento a manifestare sotto il governo con la bandiera NoTap: «Dobbiamo difendere il diritto dei popoli ad autodeterminarsi». Secondo Emiliano quella di Melendugno era una «spiaggia esotica» e Renzi e Calenda «schiavi della lobby del gas» stavano distruggendo l’economia del Salento. Anche la Xylella per alcuni- come Sabina Guzzanti- era un complotto per abbattere gli ulivi del Tap. E cosi iniziarono i ricorsi e contro gli espianti. Bocciati anche quelli. A quel punto i sindaci di sinistra del Salento occuparono il cantiere dormendo in macchina. All’arrivo dei militari, i No-Tap scatenarono tafferugli con lancio di pietre verso operai e militari. Scontri che hanno portato 67 attivisti alla condanna in primo grado per violenze. Il cantiere fu quindi militarizzato per permetter i lavori mentre Emiliano, paragonandolo a «Auschwitz», iniziò a rivolgersi alla magistratura penale, che anni dopo archiviò. A quel punto il governatore accusando Calenda di aver fatto «una manipolazione di tipo sovietico» chiese al governo una legge ad hoc per imporre la Seveso: «Prima il governo la fa meglio è», disse, «Se qualcuno aspetta che mi fermi se lo deve scordare. Che direbbero se i loro figli dormissero sopra un gasdotto? Non vorremo che fra vent’anni dopo un incidente in cui conteremo migliaia di morti qualcuno dica che non abbiamo fatto niente». Ovviamente in questa lotta di Emiliano contro Tap nulla c’entra il fatto che lui sia sempre stato amico di Putin e del patriarca russo Kirill, e che solo due anni fa chiedeva al governo di abolire le sanzioni alla Russia.
Alla vigilia dell’inaugurazione, durante la campagna elettorale per le regionali, Emiliano disse: «Ora hanno fatto il tubo ma dall’Azerbajan il gas è finito, quindi da Tap non arriverà il gas con cui potevamo far andare Ilva, perché Calenda è schiavo della lobby del carbone». E invece Tap è funzionante e porta 8 miliardi di metri cubi di gas azero in Italia, pronto a raddoppiare, e la spiaggia di Melendugno è bandiera blu. Per cui ora la versione di Emiliano è diventata: «Il Tap esiste e funziona quindi se stiamo ancora in questa situazione vuol dire che non è stato sufficiente». Insomma, era comunque meglio non farlo.
In tutto questo mentre il presidente della Basilicata Vito Bardi usa le compensazioni delle estrazioni per dare il gas gratis a tutti i Lucani, la Regione Puglia ha rifiutato di sedersi al tavolo con Tap non accettando i 50 milioni messi a disposizione dal consorzio per i ristori. Il territorio pugliese da Tap non prende nulla, impedendo di rispettare il decreto autorizzativo del 2015 con cui il governo chiedeva «in accordo con gli enti territoriali, le opportune misure per massimizzare le ricadute positive sull’economia del territorio».
E quando Tap ha proposto corsi di formazione e lavoro ai ragazzi pugliesi, Emiliano ha detto «Mi auguro che nessun giovane aderisca tradendo la sua terra, e che nessun operatore turistico intenda assumere coloro che parteciperanno a questi corsi». La disoccupazione giovanile in Puglia è al 39 per cento, 10 punti più della media nazionale.
E il Pd continua a candidarlo, appoggiarlo, e portare tutti i suoi lacchè in Parlamento.
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