Non sono d’accordo con chi sostiene che “tutti i dialetti sono brutti e tutti i dialetti sono belli”, la trovo un’affermazione troppo comoda e forzatamente corretta. Sono d’accordo, invece, sul fatto che il modo di usare il proprio dialetto faccia la differenza fra una parlata gradevole e una fastidiosa.
Io sono favorevole alla conservazione dei dialetti e delle lingue regionali, ma questo non deve andare a scapito della lingua nazionale che, fra l’altro, gran parte del mondo ci invidia. Per me, onestamente, è confortante che oggi un bambino sardo parli meglio l’italiano della lingua isolana. Detto ciò, sarei contento che sapesse parlare in modo disinvolto anche in sardo. Non sono tante le cose che uniscono il nostro paese, ancora molto provinciale, campanilista e, nel peggiore dei casi, razzista e sospettoso. La lingua comune è uno dei pochi fili che ci tiene uniti e non è stato facile arrivare a questa congiunzione. Andrebbe tutelata e coltivata di continuo e invece sembra che a moltissimi cittadini dia fastidio che una lingua nazionale prevalga sui dialetti.
Non analizzo la comprensibilità dei dialetti parlati stretti. Io analizzo la gradevolezza e vicinanza fonetica all’italiano dell’accento regionale/provinciale quando è parlato in italiano. Un genovese che parla in osteria come se fosse in una stamberga di Lisbona a me affascina tantissimo. Ma un genovese che, parlando in italiano, sbagliasse la pronuncia di vocali, dittonghi e via dicendo, mi darebbe fastidio. Bisogna imparare a switchare – uso volutamente il termine inglese perché a mio avviso efficace – cioè a premere l’interruttore e passare dalla parlata dialettale all’italiano corretto.
In assoluto credo che se gli italiani, in tutte le province e in tutti i comuni d’Italia, leggessero di più e ascoltassero di più e si impegnassero a parlare bene, crescerebbero come popolo e di conseguenza farebbero crescere il paese. Il parlar male è la più evidente delle carenze di una cittadinanza, perché è sintomo di sciatteria e menefreghismo e ha una continuazione nella vita sociale e politica.
Stefano M.