Le domande sul non voto, prima del deserto. Mio editoriale su Quotidiano di Puglia … di Sergio Pizzolante

Le domande sul non voto, prima del deserto
Mio editoriale su Quotidiano di Puglia
Perché gli italiani non votano?
Disaffezione, dicono. Perché?
È tutta colpa della politica attuale? È una spiegazione, non l’unica.
Se fosse l’unica allora bisognerebbe dire che era meglio prima.
Quando gli italiani votavano. Dieci o venti anni fa.
Quando c’erano Berlusconi e D’Alema e Prodi.
E poi Renzi.
Siamo disposti a dirlo? No. Non si dice.
E prima, prima, quando c’erano Craxi e Andreotti, gli italiani votavano in massa.
Siamo disposti a dire che era meglio allora?
No, non si dice.
Noi vogliamo sempre il nuovo, contro il vecchio, con il nuovo che diventa subito vecchio.
Avanti un altro sul patibolo.
Esiste un giornalista, un conduttore televisivo, un intellettuale, un politico, disposto a dirlo?
Uno solo. No. Ci siamo sbagliati a buttare via tutto, per tutto questo. Nessuno lo dice.
Disse qualcosa Francesco Saverio Borrelli, capo della Procura di Milano durante Mani Pulite, qualche anno dopo: “Se fossi un uomo pubblico di qualche Paese asiatico, dove come in Giappone è costume chiedere scusa per i propri sbagli, vi chiederei scusa: scusa per il disastro seguito a Mani Pulite. Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale».
È una frase testamento! Dimenticata.
Quindi, ricapitoliamo, se non si vota è male. Quando si votava era male. Quando si votava molto era malissimo.
E allora?
Allora, se la politica e l’informazione e il cosiddetto “racconto”, ci dicono che la politica è sempre male, il male, tutta, senza distinzioni, da 40 anni almeno, perché gli italiani devono andare a votare?
A chi e a che cosa devono affezionarsi?
E perché uno normale, che fa il medico, l’avvocato, l’imprenditore, l’operaio, deve appassionarsi alla politica, al male. Perché?
Se la raccontiamo cosi, a reti unificate, ogni sera, per decenni, la politica diventa interessante solo per chi è appassionato al male. E per chi altro da fare non ha.
Prima riflessione che propongo.
Seconda riflessione.
Se ci siamo innamorati, festanti sotto i balconi, di non politici, non eletti, da Di Pietro a Davigo, perché dobbiamo eleggere? A cosa serve votare per eleggere?
Terza riflessione.
Nel 2021 sono stati creati 602000 posti di lavoro nuovi. Dati ufficiali Banca d’Italia.
382000 in più nel 2022.
Negli anni 21 e 22 l’Italia è cresciuta del 10.9%.
Più di tutti in Europa.
La Manifattura italiana più 18.8 nel 22, quella tedesca più 5.1.
Il Presidente di Confindustria Bonomi ci ha detto che l’Italia ha superato, nel 2022, i 500 miliardi di esportazioni, come mai prima nella storia.
Nel 2021 i lavoratori a tempo indeterminato erano 14 milioni 732 mila, a tempo determinato 2 milioni 898 mila.
Il 16.5 per cento a tempo determinato.
Prima del Job Act le assunzioni a tempo indeterminato erano il 17 per cento del totale.
Chi lo racconta? Per affezionarsi a qualcosa o a qualcuno?
Il racconto dominante è opposto, quello di un Paese ridotto in miseria, corrotto, bisognoso di più pensioni, più assistenza, più reddito di cittadinanza. E quasi tutti vogliono abolire il Job Act.
A chi posso affezionarmi? Come mi emoziono?
E quindi, perché chi lavora e si impegna e rischia, ogni giorno, crea ricchezza, deve andare a votare visto che sarebbero tutti corrotti, si dice, o per chi non lavora o per chi tutela chi non lavora?
O per chi non lavorando guadagna quasi quanto chi lavora?
O per chi considera chi fa impresa quasi peggio di chi fa politica? Degli speculatori.
Solo nel 2022, secondo uno studio di Confartigianato, le piccole imprese hanno avuto difficoltà a reperire 1.406.440 lavoratori, pari al 42,7% delle assunzioni previste.
Non si trovano operai, tecnici, muratori, elettricisti.
Nel turismo e nel commercio come nelle grandi imprese la situazione non è diversa.
In proporzioni diverse succede anche al sud.
Dove si preferisce andare a votare in massa solo per il reddito di cittadinanza.
Mi spiegate, in questo quadro, come artigiani, commercianti, albergatori possano “affezionarsi” al voto, per eleggere qualcuno, che sa nulla di tutto ciò?
Quarta riflessione.
Se nella gran parte dei partiti non si vota, non vi è più partecipazione a elaborare e decidere qualcosa, se dove si vota i numeri sono miserrimi, al nord e al sud, se il voto diventa un concorso per facce, senza idee, come si può immaginare che le persone possano appassionarsi al voto?
È colpa dei partiti, padronali, monarchici, oligarchici, certamente, ma anche nostra, che abbiamo partecipato al rogo dei partiti democratici. O che non vogliamo “sporcarci le mani” con i partiti. O che aspettiamo il messia che ci risolva tutto. Siamo disposti ad ammetterlo?
Quinta riflessione.
Se eleggo il consigliere comunale o regionale o il sindaco e poi decidono i dirigenti, che non decidono, non firmano, perché non capaci o per paura di Corte dei Conti, Consigli Di Stato, Sovrintenze, Procure, come posso ritenere di un qualche valore, di una qualche utilità, il voto?
Un po di domande da fare a noi stessi per non dare sempre la colpa, tutta, agli altri.
Prima del deserto totale delle urne.
Sergio Pizzolante