Non delocalizzano ma spostano tutta l’attività. E non vanno in Cina ma in Svizzera, in Austria o in Slovenia. Il motivo non è solo il costo del lavoro ma piuttosto la ricerca di Paesi dove la pubblica amministrazione è veloce, efficiente e le tasse sono moderate Anche grazie a vere e proprie campagne promozionali studiate per attirare le aziende.
Trecento aziende italiane si sono già trasferite in Canton Ticino, specie tra il comparto metalmeccanico. Pensavamo che il ticinese fosse l’unica via di fuga, ma poi abbiamo scoperto un mondo nuovo, il Vallese», finora sconosciuto a Cinisello Balsamo, hinterland milanese, dove Laura Costato manda avanti con 4 addetti un’impresetta che fa viterie per elettrodomestici e l’automotive. «Abbiamo infatti deciso di trasferirci vicino Sion. Siamo costretti ad emigrare dove il lavoro è valorizzato, non tartassato…»
Un mondo nuovo
L’imprenditrice parla con un grumo di dispiacere. «Non avrei mai mollato ma devo pensare al futuro dei miei figli, anche a livello scolastico…». Dopo due visite nel Canton Vallese, la signora Costato fa parte di un gruppetto di 6 padroncini che ha deciso di fare il salto oltreconfine. «In modo consortile, per condividere la sfida. Tra tasse dirette e indirette da noi se ne va il 68% dell’utile, come si fa? In Svizzera pagheremo solo la tassa confederale dell’8,5% e, a regime, un’aliquota tra il 12 e il 19%». Ma la cosa che fa più gola è che «sono veloci nella burocrazia e nelle autorizzazioni». Fausto Grosso, 42 anni di Roletto, vicino Pinerolo, insieme a tre collaboratori fa lavorazioni metalliche di precisione. Anche lui traslocherà nel Vallese. «Ne ho già parlato con altri colleghi. Una decina è interessata». La Svizzera non scherza con le lusinghe. A metà luglio Stefano Bessone della «Greater Geneve Berne area» si è presentato a Busto Arsizio ad un’assemblea di Piccoli ossessionati dall’invasione cinese facendo volantinaggio pro confederazione: chi decide di trasferire la produzione creando 10 posti di lavoro, godrà di un’esenzione fiscale totale per 5 anni. Creandone 20, la franchigia raddoppia. Insomma musica per le orecchie di imprenditori vessati da una imposizione che in Italia è formalmente al 31,4% (27,5% Ires, 3,9 Irap) ma che sale oltre il 50% sommando tutti gli oneri.
Affitti a prezzi stracciati
Dopo la trasmissione televisiva «Presa diretta» di due domeniche fa, che ha raccontato il sopralluogo estivo nelle zone artigianali del Vallese con affitti per 2 franchi al metro quadro, il sito di “Imprese che resistono”, l’associazione che prova a lenire i morsi della crisi facendo comunità, si è intasato di tremila clic in poche ore e 200 contatti diretti. Tutti a caccia di informazioni sul nuovo eldorado. Meccanica, tessile, indotto automotive, alimentare… il concentrato di una piccola manifattura sofferente che cerca di ripartire ben oltre il materasso degli ammortizzatori. «Le imprese piccole stanno morendo, e quel che rimarrà è il deserto», si legge in alcuni post. «La colpa è del totale disinteresse del governo. Altri paesi, come la Svizzera, fanno politica industriale lungimirante». Il progetto d’investimento Copernico, lanciato dal Ticino dove il tax rate si ferma al 20% dell’utile e l’Iva è la più bassa d’Europa, ha già attratto 100 aziende italiane offrendo contributi a fondo perduto e incentivi per le assunzioni. Non tanto a chi viene a fare trading commerciale, ma ad aziende come la toscana Pramac, che a Riazzino ha deciso di produrre pannelli fotovoltaici. Così mentre la propaganda da tabloid accusa i nostri frontalieri di essere topi dentro al gruviera, sfruttatori avidi del paese degli orologi, le istituzioni elvetiche si attrezzano per rubarci imprese e competenze. Qualcuno le chiama già micro secessioni. Per ora piccoli numeri ma che anticipano il mondo che verrà dopo la crisi, quando la leva fiscale farà una gran differenza nella competizione tra territori. Come sempre se ne vanno prima le aziende, Riccardo Illy lo aveva profetizzato: ma non per fattori di prezzo (come nella Romania anni Novanta), alla ricerca di un habitat che l’Italia è incapace di costruire. Secondo i calcoli della Cgia di Mestre siamo il paese dove l’incidenza delle corporate tax sul gettito totale è tra i più elevati (17,4%). Lo stesso vale per l’aliquota «implicita» (31,5%), che misura il peso della tassazione in rapporto al valore aggiunto annuo che produce ogni impresa.
Le sirene di Lubiana e Klagenfurt
Le associazioni sono restie a dare i numeri della fuga, ma si capisce che la talpa scava anzitutto nelle terre del forzaleghismo, tra quel blocco sociale deluso cementato proprio sul miraggio di una rivoluzione fiscale e sul Godot della sburocratizzazione. Paradossale, no? Questo vale a Nord Est, dove la concorrenza dei paesi di corona, dalla Slovenia all’Austria, è formidabile. Il governatore friulano Renzo Tondo va dicendo da mesi che la vera emergenza del territorio è la sirena fiscale di Lubiana e Klagenfurt. Lo sa bene l’Austrian Business agency che dal suo ufficio di Padova non smette di ingolosire le imprese locali: 25% di imposta secca sulle società; convenzioni contro le doppie imposizioni; rimborso veloce dell’Iva; quasi tutti i costi deducibili; incentivi per investimenti produttivi fino al 25% e per ricerca e sviluppo fino al 50% e prezzi dei terreni industriali tra 25 e 50 euro al metro quadro. Un’incentivazione che a fine 2009 aveva già attirato quasi mille aziende. C’è la Danieli, sistemi per l’automazione, la Costan, frigoriferi industriali, la Fbs, bagni prefabbricati, e la Pcs, software per aziende ospedaliere. «Ma quelle che censiamo sono solo una piccola parte», confermano dall’Aba. Ad esempio la Durst Fototecnica a Lienz ha appena investito 15 milioni in un nuovo centro di Ricerca mentre altre 13 imprese, tra Information Tecnology e meccatronica, sono arrivate negli ultimi mesi, come la udinese Refrion (sistemi di riscaldamento).
L’energia a basso costo
Dall’ufficio Japti di Milano, l’azienda di promozione slovena, Lara Cernetic e Rok Oppelt lavorano per portare imprese italiane oltre Gorizia, offrendo un’imposta societaria al 20%; detrazioni fiscali fino al 40% degli investimenti in ricerca e sviluppo, una bolletta energetica di 40 punti inferiore alla nostra e incentivi a fondo perduto (14,5 milioni estesi al settembre 2011) che coprono fino al 40% delle spese per le pmi. Sono già arrivati in 600 tra cui la veronese Bonazzi con la Julon (vedi articolo a fianco), la Carrera Optyl, la Technical (stampaggio metalli), la friulana Fantoni e la Silografika del brianzolo Ernesto Nocera, che produce salviette per i vassoi dei ristoranti a Selo, mezz’ora di auto da Trieste. «Oltre al regime fiscale – conferma Nocera – in Slovenia gli addetti costano molto meno che in Italia nonostante siano qualificati».Insomma non siamo davanti a grandi imprese che diversificano, ma a piccole e Pmi che allungano l’indotto spostandosi in paesi più convenienti. È una emorragia, una “strafexpedition” alla rovescia cent’anni dopo. Non più militare ma economica. In attesa di un vero federalismo fiscale, l’Italia resta purtroppo un pachiderma sul fisco d’impresa. Nei paesi competitor, manovrando sul calcolo della base imponibile stanno già incentivando in via differenziata investimenti e insediamenti industriali. È lo spirito del nuovo europeismo: il superamento della vecchia statualità classica. Basta spostarsi 20 chilometri, per pagare molte meno tasse…
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