Le Vite sottili di chi combatte l’anoressia

“La malattia ti fa pensare che sia positiva. Nonostante le difficoltà, sei felice perché dimagrisci”. A parlare è Irene, i capelli biondi raccolti nella coda di cavallo. Ha iniziato a contare le calorie a 9 anni e, anche quando l’hanno ricoverata d’urgenza in ospedale, si preoccupava quante ne contenesse la flebo che la teneva in vita. Beatrice, invece, ha iniziato giustificandosi con la voglia di una “dieta sana” e si è data persino alla corsa di mezzo fondo pur di bruciare tutto ciò che ingeriva. E poi Lorenza, bravissima a scuola, ma convinta sempre di non “dare mai abbastanza”.

Tre ragazze modello, sempre alla ricerca della loro perfezione al punto da trasformarla in un’ossessione, come se avere totale controllo sul proprio corpo potesse farle sentire più sicure. Sono loro le “Vite sottili” che la regista Maite Carpio racconta nel documentario prodotto da Garbo Produzioni per Warner Bros. Discovery, in onda su Real Time il 15 marzo alle 22.40, in occasione della Giornata nazionale contro i disturbi del comportamento alimentare (disponibile anche su discovery+.). Un viaggio tra malattia e speranza all’interno dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, centro di eccellenza dove ogni giorno si combatte il “mostro” dei Dca e dell’anoressia nervosa. “L’idea nasce da un’esperienza personale – spiega la regista all’ANSA -. Tanti anni fa, quando mia figlia era adolescente, abbiamo affrontato questo stesso problema. Io stessa ho compiuto quel percorso con lei al Bambino Gesù e volevo raccontare non solo cosa sia l’anoressia nervosa ma anche quanto questa malattia coinvolga tutta la famiglia”. Un’emergenza ormai sociale perché ci si ammala sempre di più e sempre prima: in Italia, bulimia e anoressia causano più di 4000 morti l’anno e in particolare quest’ultima è la seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali. “Dopo la pandemia i casi sono triplicati – prosegue Carpio – E sempre più si arriva a estremi drammatici: un suicidio lento che queste ragazze si autoinfliggono”.

Il documentario segue la storia di Irene, Beatrice e Lorenza nel percorso, duro, che affrontano al Bambino Gesù. Un racconto corale che, dal primo grido d’aiuto e dall’emergenza in cui spesso la malattia spinge, esplora i molteplici punti di vista del programma di riabilitazione: il rapporto con i genitori e i coetanei, gli stati emotivi che accompagnano la malattia, le visite con l’equipe medica. “Le famiglie si sono fidate di me perché chi ci è già passato capisce e non giudica – riflette Carpio -. Di questa emergenza si sa molto poco perché l’anoressia è una malattia subdola, che si nasconde bene. Da una parte passa tempo prima che un genitore la identifichi, magari scambiando certi atteggiamenti per capricci adolescenziali. Dall’altra c’è ancora lo stigma della vergogna. Ci si nasconde”. Nel documentario “si racconta anche come i genitori perdano il loro ruolo, con le ragazze che ti tirannizzano e finisci a fare la spesa come dicono loro”. Quando i sintomi diventano emergenza, “ti senti in colpa: perché non me ne sono accorto? Dove ero che non ho visto? Sono domande che ti tormentano – prosegue Carpio -. Spesso è proprio nella famiglia, nella crisi della genitorialità, che si annida il primo germe della malattia. Quelle colpite sono bambine molto sensibili, con una grandissima intelligenza, anche emotiva. Percepiscono certe dinamiche familiari anche da piccole. C’è poi sicuramente una richiesta d’attenzione. Non mangiare è come urlare: non mi guardate o mi state chiedendo troppo”.

Se ne esce? “Si – risponde la regista -. Ma l’anoressia è un allarme al quale si deve rispondere tutti insieme. Bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco, di interrogarsi su cosa non ha funzionato. Con l’umiltà di chiedere aiuto”.


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