L’eredità del governo Conte: “Corte dei Conti azzoppata”

U n doppio grido di dolore. Un duplice atto d’accusa contro Giuseppe Conte e la Spazzacorrotti di Alfonso Bonafede, firmato dal procuratore generale della Corte dei conti Angelo Canale e da Maurizio Grigo, storico gip di tanti procedimenti celebri nella stagione di Mani pulite. Afferma Canale: «Sono in arrivo i 200 miliardi del Pnrr e l’Europa giustamente ci chiede di aumentare il controllo di legalità, perché naturalmente vuole che quei soldi non siano dissipati o, peggio, finiscano nelle tasche di qualcuno. Bene, noi che facciamo? Il governo Conte con il decreto Semplificazioni dell’estate del 2020 ha spuntato le unghie alla magistratura contabile. Si è ristretto il campo d’intervento della Corte e in qualche modo si è abbassata la guardia».

Grigo è altrettanto netto: «Il legislatore da alcuni anni ha come bussola un intento pedagogico e, come è accaduto con la Spazzacorrotti, aumenta le pene come se questo servisse a fermare la criminalità, ma così perde di vista i principi cardine della proporzionalità e della ragionevolezza che dovrebbero ispirare la sua azione».

Due colpi da ko, in margine ad un convegno sul web promosso dall’Università Europea di Roma.

Si discute di un tema che fa tremare le vene dei polsi, ancora di più nei giorni in cui sta decollando il nuovo Piano Marshall per rilanciare la nostra economia: la responsabilità dei dirigenti della Pubblica amministrazione.

Il professor Giuseppe Valditara, ex parlamentare, scalda subito i motori: «Nel nostro Paese, chiamato a colmare un drammatico ritardo nella realizzazione delle opere pubbliche e delle infrastrutture, c’è la paura della firma, quella che gli specialisti chiamano l’amministrazione difensiva». È chiaro che con questo sacro terrore addosso è difficile immaginare che comuni, regioni ed enti pubblici mettano il turbo e portino il contachilometri dell’Italia alla velocità di crociera dell’Europa.

Grigo, che è stato procuratore capo a Varese e procuratore generale del Molise, elenca puntigliosamente l’incredibile successione di interventi normativi, un governo dopo l’altro, sul capitolo reati della pubblica amministrazione. C’è chi ritiene, come Carlo Nordio, che la sciagura delle sciagure sia l’abuso d’ufficio perché paralizza i funzionari che pure avrebbero voglia di fare. «L’intervento dello Stato – attacca il magistrato oggi in pensione – è scoordinato, confuso e contraddittorio. Ma l’assillo pedagogico non risolve i problemi».

E il procuratore Canale lo affianca, descrivendo la foresta in cui si muovono anche i magistrati della Corte dei conti: «Le regole non sono certe e le norme sono farraginose. Così anche i giudici si trovano a doversi orientare pescando fra questa è quella norma, questa o quella interpretazione. Il risultato è che è solo una piccola parte delle migliaia di segnalazioni che ci arrivano viene incanalata in un procedimento e il 40 per cento di questi processi si conclude con l’assoluzione». Un quadro drammatico che trova conferma nel parterre degli accademici, da Nicola Pisani a Mario Comba e Carmelo Leotta.

Alla fine, conversando con il Giornale, Canale dà l’allarme: «Bisogna ridurre le norme e invece si restringe il perimetro del nostro intervento, con una sorta di moratoria sulla colpa grave e schiacciando il dolo sul versante penale. Forse non è quel che si aspetta la Ue». Ma questa è la deriva tricolore, ancora più accentuata negli ultimi anni. «Per contrastare la corruzione – conclude Grigo – serve la certezza della pena. Invece il governo Conte ha alzato le pene, ma purtroppo così non si vincerà mai la guerra contro il malaffare».


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