L’ESPRESSO: ”Sorpresa! San Marino torna ad essere un paradiso fiscale”

La Repubblica del Titano ha da poco approvato un emendamento alla legge di Bilancio che restaura le vecchie residenze fiscali non domiciliate, consentendo agli stranieri di fare affari con tasse al 5 per cento. Matteo Salvini un mese fa era andato in visita al governo locale. Chissà se si è parlato anche di questo

di Gloria Riva

San Marino torna a essere un paradiso fiscale, o quasi. Il Consiglio Grande e Generale, cioè il parlamento di San Marino, a cui spetta il potere legislativo, nella seduta di ieri pomeriggio ha approvato due emendamenti contenuti nella variazione alla legge di Bilancio 2023, per restaurare le residenze fiscali non domiciliate, cioè la possibilità di trascorrere qualche settimana sul monte Titano, fare affari e godere del regime fiscale agevolato.

Dice l’emendamento che, a partire dal 31 marzo 2024, il ritorno delle residenze fiscali agevolate consentirà condizioni fiscali favorevoli a quegli stranieri che trascorreranno tra i 30 e i 150 giorni (massimo) a San Marino, in teoria per vacanza – la legge dice che queste persone devono soggiornare in residenze lussuose, possibilmente in alberghi cinque stelle -, in pratica per svolgere operazioni finanziarie, ovvero investimenti, finanziamenti, acquisizioni o cessioni che altrove sarebbero maggiormente controllate e, soprattutto, tassate. A San Marino, invece, le condizioni fiscali sono parecchio favorevoli, a partire da una dichiarazione semplificata dei redditi (generati in quel periodo di residenza) fino alla possibilità di optare per un’aliquota proporzionale fissa nella misura del 5 per cento. Un bel risparmio, se si considera che in Italia i redditi da natura finanziaria sono tassati al 26 per cento. Dunque, ricapitolando: basta trasferirsi per qualche settimana a vivere in un albergo sanmarinese, compiere i propri investimenti, dichiararli al governo del monte Titano e poi fare ritorno in patria (in Italia o in qualsiasi altro paese che offra regimi fiscali meno accomodanti) dove potrà poi tranquillamente godere dei servizi offerti, dalla sanità, alle scuole, dai trasporti all’assistenza sociale. Ed è tutto regolare.

 

Ma andiamo con ordine.

 

È da mesi che il governo e l’opposizione di San Marino discutono dell’opportunità di tornare a essere un paese accogliente per le operazioni fiscali altrui. Questo, probabilmente, alla luce di un bilancio nazionale non proprio brillante. La cinghia si è fatta stretta per tutti, in particolare per la piccola San Marino che, oltre alla pandemia e all’inflazione, fa i conti con una forte riduzione della liquidità da quando, nel 2017, San Marino ha aderito allo scambio automatico di informazioni di carattere fiscale con le altre autorità straniere, favorendo quindi percorsi di voluntary disclosure da parte di evasori fiscali e relativo rientro di capitali.

 

Di mezzo c’è stato anche un pesante buco della Cassa di Risparmio di San Marino che, nel 2016, ha segnato una perdita di bilancio di mezzo miliardo, per effetto della svalutazione dei crediti Delta: una cifra monstre per la banca di San Marino, che ha un patrimonio di 71 miliardi. Un paio di anni fa il governo di San Marino, per toppare quel buco ha emesso titoli di Stato irredimibili del debito pubblico, ovvero senza scadenza: un esperimento, quello dei bond perpetui, appoggiato persino dal Fondo Monetario Internazionale. In sostanza lo Stato, con i titoli irredimibini, emette ogni anno una cedola, del valore di circa 8 milioni, che servono poco per volta a ripianare il buco generato dalla Cassa di Risparmio. Dunque, ogni anno otto milioni di finanza pubblica se ne vanno per coprire questo buco e la liquidità per tutto il resto è limitata. Ma le finanze di San Marino hanno anche altri problemi, tant’è che JpMorgan sta formando un progetto di cartolarizzazione da circa un miliardo per permettere alle banche sammarinese di ottenere un po’ di liquidità.

 

Da qui, l’ipotesi avanzata all’inizio di quest’anno di reintrodurre il Des, ovvero il Distretto Economico a fiscalità Speciale: tasse al 5 per cento in cambio di (almeno) 300 milioni di investimenti in sette anni di turismo e commercio a chi richiede una residenza fiscale non domiciliata a San Marino. La discussione fra maggioranza e opposizione è proseguita per tutta l’estate. E l’Italia ne è stata silenziosa spettatrice, ma a chi mastica di fisco non sarà sfuggito il dettaglio che, anche gli italiani, potranno godere dei servigi di San Marino una volta reintrodotto il Des. E chissà se Matteo Salvini, attuale vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture, è incappato in questa notizia quando, lo scorso 22 agosto, ha fatto visita al Paese. Il capo della Lega si è limitato a dire «Venire qui è un piacere, un dovere, un onore» e poi si è chiuso in un conclave con una delegazione del governo sammarinese per parlare di infrastrutture, energia e frontalieri.

 

Chissà se poi, magari, ha detto qualcosa in merito a questa storia delle residenze fiscali non domiciliate, se si è parlato anche della possibilità, per gli italiani, di pagare parte delle proprie tasse a San Marino anziché in Italia. Mistero. Va detto che Matteo Salvini ha un rapporto speciale con San Marino, perché negli ultimi due anni ha visitato più volte il piccolo borgo e altri colleghi di partito l’hanno frequentato assiduamente, come il leghista Armando Siri, l’ideologo della flat tax, che nel 2019, mentre era sottosegretario, ha ottenuto dalla Banca Agricola di San Marino due mutui ritenuti «anormali» del valore di circa un milione e 200mila euro. Un’operazione che gli è valsa un’inchiesta giudiziaria per autoriciclaggio e finanziamento illecito. Tra l’altro la Banca Agricola aveva avvallato quei prestiti, privi di adeguate garanzie, per «stabilire rapporti di lunga durata» con la politica italiana. E infatti il compagno di partito Salvini non manca mai di andare a fare visita agli amici di San Marino.

 

Chi invece ha acceso un faro sulla manovra sammarinese è la Commissione Europea che a fine agosto aveva inviato una lettera critica a San Marino, ma anche a Monaco e ad Andorra, indicando i potenziali rischi di riciclaggio finanziario delle manovre in atto nei rispettivi stati. Tanto che la Commissione ha aggiunto che servizi fiscali di quel tipo avrebbero minato il percorso verso l’Accordo di Associazione con l’Ue. Ora, occhio alle date: la firma di questo accordo con l’Europa è prevista entro la fine di quest’anno, mentre le residenze fiscali non domiciliate potranno avere luogo a partire da aprile 2024. Tempismo perfetto.

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