
Più che un senatore, stando alle indagini di tre diverse autorità giudiziarie, sembra una slot machine: funziona se si inserisce la moneta. La Procura di Milano ha chiuso in questi giorni l’istruttoria sulle straordinarie avventure finanziarie di Armando Siri, parlamentare di alto rango e stratega fiscale della Lega di Matteo Salvini. Già indagato a Palermo e poi a Roma con due accuse di corruzione, ora il senatore rischia un altro processo per una presunta evasione delle tasse e soprattutto per una ricca serie di «finanziamenti illeciti». Per cifre degne di un big di Tangentopoli: oltre un milione e mezzo di euro. Soldi che il politico, teorico della sovranità economica italiana, ha ricevuto da due rinomati paradisi fiscali europei: San Marino e Lussemburgo.
Il senatore Siri è un leghista dell’ultima leva politica, fedelissimo di Salvini. Originario di Genova, ha fatto il giornalista nelle tv di Berlusconi e poi si è messo in proprio, cercando fortuna negli affari a Milano, con scarsissimo successo: dopo aver portato al fallimento la società di comunicazioni MediaItalia srl, nel 2014 ha patteggiato una condanna a un anno e otto mesi, a suo dire ingiusta, per bancarotta fraudolenta. In politica ha esordito come attivista del Psi di Craxi, poi ha fondato un suo partito, Italia Nuova, e nel 2011 si è candidato a sindaco di Genova, ottenendo però solo lo 0,6 per cento dei voti. Nella Lega è entrato su chiamata diretta di Salvini, dopo la caduta di Umberto Bossi per lo scandalo dei famosi rimborsi-truffa da 49 milioni. Dal 2014 il leader della nuova destra sovranista ha accolto Siri tra i suoi consiglieri. Per un presunto esperto di economia, una condanna per bancarotta non è il massimo del curriculum, ma la Lega è sempre stata ultra-garantista con i colpevoli di casa propria e forcaiola con i nemici politici e gli stranieri poveri (non russi): lo stesso Bossi, il fondatore del partito, è un noto pregiudicato per i finanziamenti illeciti della Montedison ed è tuttora senatore.
L’indagine parte da una segnalazione anti-riciclaggio firmata da un notaio, Paolo De Martinis, che evidenzia le anomalie più vistose: Siri ha ottenuto un finanziamento di 750 mila euro, per comprare una palazzina vicino a Milano, senza la normale garanzia ipotecaria. E ha potuto intestare l’immobile alla figlia, che non risponde del prestito concesso al papà senatore. Quando una giornalista di Report fa esplodere il caso, Siri è già indagato per un’altra accusa di corruzione politica: una presunta tangente di 30 mila euro in cambio di un emendamento, destinato a favorire un imprenditore siciliano inquisito dai pm antimafia, il «re dell’eolico» Vito Nicastri. Quindi l’Espresso rivela che il prestito a Siri è stato bocciato, con motivazioni pesantissime, dalla stessa Banca Centrale di San Marino, che ha disposto tre ispezioni chiuse con altrettante denunce. Salvini non si scompone e lo difende così: «Siri ha fatto solo un mutuo in banca, come milioni di italiani».
Solo i giudici, alla fine di tutti i processi, potranno stabilire se siano stati commessi reati. Ma una cosa è certa: il senatore della Lega ha ottenuto i soldi da San Marino con una straordinaria corsia privilegiata, fuori da ogni regola bancaria applicata ai comuni cittadini. E con una motivazione politica tenuta segreta.
A dimostrarlo sono i documenti interni della stessa Banca agricola commerciale (Bac) di San Marino. Siri ha incassato i 750 mila euro nell’ottobre 2018, quando era già senatore e sottosegretario, senza dover fornire alcuna garanzia reale (la classica ipoteca sul mutuo) e nemmeno una fideiussione personale. La durata del prestito è di dieci anni, il doppio del massimo previsto dalla Bac, con un tasso fisso del 2,15 per cento, meno di metà della media (4,90) applicata ai normali clienti. L’ispezione segnala molte altre anomalie, con documenti cancellati dai computer e nomi nascosti. È proprio la Banca Centrale a scoprire alti due prestiti senza garanzie collegati a Siri, ma gestiti dalla Bac senza registrare i legami con il politico.
Nell’aprile 2019 una piccola ditta appena fondata da un barista della periferia milanese, già in affari con Siri e candidato della sua lista a Genova, ha ottenuto altri 600 mila euro, anche in questo caso senza ipoteca. La società risulta «presentata» a San Marino da Marco Luca Perini, che è il capo della segreteria politica di Siri. A confermarlo è il direttore generale della banca, che ha approvato quei «prestiti personali». Nelle carte della Bac, però, il nome del segretario «non era registrato».

Il legame con Siri viene «omesso» anche per un terzo prestito, di altri 200 mila euro, concesso a un’imprenditrice in difficoltà, Domenica Ferragù. Nelle carte bancarie viene identificata come «consulente della Bac», per i 750 mila euro concessi al senatore. Interrogata dopo le prime perquisizioni, lei stessa ha spiegato che in realtà, all’epoca, aveva un legame sentimentale con Siri, poi troncato, e a San Marino ci andava con lui.
All’inizio la Procura aveva ipotizzato il reato di auto-riciclaggio, per i precedenti di Siri. L’azienda della bancarotta era infatti controllata da una società anonima del Delaware e nel fallimento sono spariti i soldi delle tasse. Ora le indagini hanno convinto i magistrati a modificare l’accusa: la banca di San Marino ha finanziato Siri come politico, per trovare un alleato nella Lega. Ad ammetterlo è lo stesso direttore della Bac, Marco Perotti, che poi si è dimesso per lo scandalo. Il 22 settembre 2018, davanti al consiglio d’amministrazione, è lui a sottolineare che il prestito senza garanzie va concesso a un «senatore e sottosegretario in carica», per ragioni politiche: per la banca, come si legge nel verbale ottenuto dall’Espresso, «il tema di principale interesse, considerata l’importante posizione dell’interlocutore, è di avere degli scambi, per creare una relazione di lunga durata». Un senatore per amico. La vera causale del prestito è cruciale per la legge italiana, che non vieta alle società private di versare soldi a partiti o a singoli politici, ma impone di dichiararli, sia nei bilanci che in Parlamento. Perché gli elettori hanno diritto di sapere.
Ricostruita così la storia politica dei soldi di San Marino, la Guardia di Finanza ha esaminato tutte le entrate di Siri. E ha scoperto un altro finanziamento anomalo, il primo della serie: 220 mila euro arrivati dal Lussemburgo nel giugno 2018, quando il neo-senatore Siri stava per diventare sottosegretario. I soldi provengono da un gruppo finanziario lussemburghese, Npl Opportunities, che nel 2018 ha acquisito una società italiana di recupero crediti, Omniatel. Il prestito al politico è stato propiziato, secondo l’accusa, da un manager italiano, Massimo Mina, e da un famoso avvocato, Marco Cardia, figlio dell’ex presidente della Consob.
Qui l’accusa nasce dalle modalità dei versamenti, con due assegni circolari gestiti da un fiduciario. Il presunto movente della società lussemburghese è chiarito anche dalle intercettazioni di un’altra inchiesta: nello stesso periodo Nino Caianiello, l’ex burattinaio delle tangenti tra Milano e Varese (che dopo l’arresto ha confessato e patteggiato), si sentiva chiedere da un altro politico lombardo, Massimo Buscemi, di assegnare proprio alla Omniatel del manager Mina la riscossione dei crediti di «vari comuni dove abbiamo gli amici». Il senatore Siri ha usato i soldi lussemburghesi, secondo la Finanza, per pagare i suoi debiti con l’Agenzia delle Entrate. Ed evitare polemiche prima della nomina a sottosegretario.
L’accusa di evasione fiscale riguarda invece altri 71 mila euro, sulla carta attribuiti a un’associazione «senza fini di lucro» creata da Siri per organizzare corsi di formazione, chiamata Spazio Pin, ma di fatto utilizzati dal senatore per le sue spese personali. Di qui la presunta «dichiarazione infedele dei redditi».
L’indagine di Palermo intanto è approdata a Roma, dove l’accusa è raddoppiata. Oltre alla tangente per l’emendamento eolico, Siri è imputato di aver chiesto «ingenti somme di denaro» a due dirigenti del gruppo Leonardo, incassando un anticipo di «almeno 8 mila euro». In cambio di «un provvedimento normativo ad hoc».
Siri respinge tutte le accuse. E rispetto ai normali indagati, ha un’arma in più: l’immunità parlamentare. Non può subire perquisizioni o sequestri. Il suo cellulare non è intercettabile. E il Senato può dichiarare «inutilizzabili» anche le sue telefonate con altri, intercettati legalmente. Intanto Salvini attacca tutti i magistrati e continua a premiarlo: Siri e l’inseparabile Perini sono diventati i responsabili della «scuola di formazione politica» della Lega. E in dicembre il senatore è entrato nella segreteria del partito addirittura come «responsabile del programma». «Meno tasse, controllo dei confini, opere pubbliche, nuova giustizia», sono gli obiettivi indicati da Salvini, con un augurio: «Buon lavoro a Siri». L’ESPRESSO