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Negli ultimi 5 anni sono stati eseguiti oltre 5 mila sfratti a Napoli, 7.255 in Campania. “Una signora di 60 anni, ex imprenditrice del tessile, ha perso l’attività con la crisi: è stata sfrattata dalla sua casa in centro. Con la pandemia erano cominciate le difficoltà a pagare l’affitto, perché ormai faceva lavori saltuari. Ma la famiglia le dava una mano. Poi anche i suoi familiari hanno perso il lavoro. E la signora è entrata nel circuito della morosità”. Chiara Capretti, classe 1990, ha incontrato tante storie come questa: fa la consigliera municipale a Napoli e si occupa del centro storico. Dall’esperienza dell’Ex Opg Je So Pazzo e poi in Potere al Popolo si occupa di mutualismo e della rete delle Case del Popolo. “La signora ha solo una pensione di invalidità, non avrà più accesso al reddito di cittadinanza né al fondo di morosità incolpevole. L’unica risposta proposta dalle istituzioni è stata il dormitorio, come se le dicessero: ‘Basta, sei una senzatetto’. Oggi la signora non è in un dormitorio solo perché siamo riusciti, con la rete delle occupazioni abitative, a trovarle una soluzione”.
I numeri nel resto d’Italia raccontano situazioni analoghe: sempre negli ultimi cinque anni 3 mila sfratti a Bologna e 9.820 in tutta l’Emilia Romagna, 2.429 a Genova e 5.036 in tutta la Liguria, 7.827 a Torino e 11.736 in tutto il Piemonte, 1.329 a Venezia e 6.975 nel Veneto (dal 2017 al 2021), 2.442 a Firenze e 9.380 in tutta la Toscana, 1.665 a Bari e 5.480 in Puglia, 1.560 a Palermo, 1.926 a Catania e 5.498 in tutta la Sicilia.
Roma “ha circa 200 mila alloggi chiusi privati – dice Maria Vittoria Molinari di Asia Usb -. Ma si continua a far costruire il privato: questo dà l’idea di come venga trattato il fenomeno casa”. “Il patrimonio abitativo pubblico dell’intero paese – aggiunge Michelangelo Giglio – è invece esiguo. E i prezzi di mercato inaccessibili”. Secondo sindacati e movimenti è sbagliato “criminalizzare la povertà e il diritto alla casa”, a loro avviso bisogna partire dal rilancio dell’edilizia residenziale pubblica che, spiega Giglio, “fa da calmieratore anche del mercato”. Francia e Germania, per esempio, “hanno un patrimonio abitativo pubblico molto ma molto più elevato dell’Italia”.
“È una priorità politica e sociale che richiede risposte adeguate”, aggiunge Gennaro Acampora, consigliere comunale Pd di Napoli. “Migliaia di persone vengono espulse dal centro di Napoli, verso le periferie o anche verso altre città, a causa dei canoni alti e della trasformazione di molti alloggi in case vacanze e B&B”. La moratoria sugli sfratti “ha salvaguardato la situazione dal 2020 al 2022. Con la fine del blocco e la morosità, oggi si parla di oltre 10 mila sfratti esecutivi programmati a Napoli”, aggiunge Capretti. La maggior parte soprattutto nel centro storico. “Lì si è costruito probabilmente un doppio fenomeno: da un lato quello, comune al resto d’Italia, dell’aumento dei redditi da rendita a fronte di un basso se non nullo aumento dei salari. Dall’altro l’esplosione del turismo ha chiaramente fatto impazzire il mercato libero degli affitti. Sono tanti i casi di famiglie che decidono di sfrattare inquilini per poi immaginare una vendita o una gestione affidata a una locazione breve”. Mentre in centro “esiste ancora una classe sociale di provenienza bassa, se non proprio sottoproletaria, già dall’800, che finora non era stata fortunatamente cacciata e che ora soffre più di altre”.
Albert Cubolli vive a Milano dal 2000, dal 2007 abita in una casa in affitto e a settembre ha scoperto che i nuovi proprietari non gli avrebbero rinnovato il contratto. È sposato, ha due figli e lavora nell’edilizia, sua moglie lavora part time. Non sono più riusciti a trovare un’alternativa e a gennaio hanno subito lo sfratto esecutivo. “Ora sono da mio fratello, ma è dura anche per i miei figli studiare: siamo in 8 in una casa piccola”, racconta. “I bambini mi chiedono sempre se il Comune ha risposto”. Sì, perché Cubolli si è precipitato a chiedere aiuto all’amministrazione per capire che alternative ci fossero. La risposta? “Vai a Como, vai a Verona, vai a Piacenza. Così ci hanno detto. Ma come? Lavoro a Milano e volete che vada vivere a Como?”. Eppure Albert e la moglie, insieme, guadagnano 20 mila euro all’anno. “Milano deve decidere se restare una città vera, con una diversità sociale e culturale, o se diventare un’altra cosa”, avverte Gatti. Perché gli stipendi non sono adeguati ai prezzi delle case. “I lavoratori e le lavoratrici di settori importantissimi, di quelli che mandano avanti questa città, non si possono permettere poi di viverci, neanche nell’area metropolitana: stiamo parlando di chi è impiegato nella logistica, le imprese edilizie, la ristorazione, la pulizia. Lavori a bassissimo reddito, a volte condizionati dalla precarietà, per cui basta una spesa improvvisa, il dentista del bambino, l’acquisto di un elettrodomestico, a mettere in crisi il bilancio familiare”. In Lombardia le famiglie considerate povere sono il 2,7% sulla popolazione generale, ma se si analizza solo la popolazione che vive in affitto, la percentuale sale al 14,5%. “L’affitto determina la povertà, ma chi è povero non può far altro che andare in affitto”, conclude Walter Gatti.
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