Afghanistan, Libia e Siria. Tre Paesi da raccontare, tre guerre da non dimenticare. Ed è da questa idea che si deve partire per comprendere perché bisogna tornare a raccontare quei Paesi. L’evento che si è tenuto oggi nella sede de Il Giornale è servito soprattutto a questo: far capire il motivo per cui questi tre conflitti non debbano essere sepolti fra le mille notizie che ogni giorno inondano la nostra carta e i nostri schermi, dai televisori agli smartphone. Ci sono storie che non possono essere dimenticate, perché il mondo è guerra, come ricordato anche dal direttore Alessandro Sallusti, e va raccontato. Analizzando, capendo, ma soprattutto tornando sul campo: obiettivo dei nostri reporter che, come ricordato dal project manager Laura Lesèvre, hanno realizzato più di 200 reportage in tutto il mondo.
Gian Micalessin ha descritto perché bisogna tornare in Siria. Lo ha fatto già in un suo articolo. Lo ha ripetuto oggi, di fronte alla platea di ascoltatori e lettori, parlando di “anomalia”. Perché quella di Siria è effettivamente una guerra anomala, dove gli interessi del mondo si incrociano in un dedalo inestricabile fatto di ombre, di chiaroscuri, di sangue. E dove a essere colpita è stata prima di tutto la Siria, come idea, come Paese in cui era possibile convivere fra diverse religioni e fra diverse confessioni dello stesso credo. La Siria come mosaico si è infranta di fronte al terrorismo, alle bombe, alla guerra. E i primi a essere colpiti sono stati anche i cristiani: i più deboli in questa guerra.
Proprio della vita dei cristiani in Siria è doveroso tornare a parlare: per non dimenticarli. Le sofferenza che hanno vissuto migliaia di famiglie cristiane è stata atroce. Intere comunità sono state spazzate via. Il sangue dei cristiani è tornato a scorrere sotto i colpi dello jihadismo. E come ricordato da padre Mtanios Haddad, archimandrita della chiesa greco-melchita, la Siria è veramente diventata una terra santa.
“Santa” non solo come culla dell’espansione del cristianesimo nel mondo, ma anche perché bagnata dal sangue dei martiri che hanno ricordato al mondo che si può morire per la fede. Lo aveva già raccontato Micalessin andando a Maaloula, uno dei simboli della tragedia dei cristiani siriani. Lo ha ricordato anche Haddad, parlando di come oggi per molti cristiani il vero problema è tornare, dopo che la convivenza si è infranta e l’odio è disseminato ovunque. E per l’Italia è fondamentale non solo tornare a raccontare la Siria, ma anche impegnarsi a fare in modo che la pace torni a Damasco e nelle altre parti del Paese. E, soprattutto, l’Europa deve fare in modo di far tornare a casa coloro che hanno lasciato la Siria per raggiungere il Vecchio continente: “L’Ue ha già speso abbastanza, ha dato alla Turchia sei miliardi di euro per fermare i migranti. Ma è ora che tornino per ricostruire il Paese. Tra coloro che avete accolto ci sono anche quelli che, fino a poco tempo fa, combattevano da noi”.
Perché la Siria è anche nostro interesse. Il terrore che ha sconvolto quel Paese ha viaggiato attraverso le rotte dei migranti, insieme alla disperazione di milioni di profughi. Ed è quindi un interesse anche nostro, come comunità, quello di proteggere la nostra sicurezza.
Sicurezza che ci aiuta a collegare un altro conflitto che non possiamo dimenticare e di cui vogliamo tornare a parlare: la Libia. Come ricordato da Fausto Biloslavo, è qui che l’Italia si gioca larga parte dei suoi interessi nazionali. La guerra scoppiata nel è stata una tragedia per il nostro Paese. E l’intervento insieme alla coalizione occidentale, per quanto obbligato, è stato, come detto da Micalessin, un “suicidio politico”.
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