Liberata Ebla, dopo 12 anni l’Italia torna a scavare

(di Silvia Lambertucci) (ANSAmed) – ROMA, 05 SET – Trincee scavate tra le rovine dei
templi, casematte allestite all’interno delle mura millenarie,
forse anche mine inesplose. Devastato da anni di occupazione
delle milizie irregolari dei ribelli di al-Qaeda, è stato
liberato dal governo di Damasco, in Siria, il Parco archeologico
di Ebla, la millenaria città scoperta nel 1964 dall’archeologo
italiano Paolo Matthiae, le cui vestigia potranno ora essere
messe in sicurezza per riprendere le ricerche in quella che
viene riconosciuta come una leggenda dell’archeologia mondiale,
la più importante scoperta dell’ultima metà del Novecento. Lo
annuncia all’ANSA il celebre archeologo, direttore emerito del
progetto di ricerca, che proprio questa sera riceverà a Naxos un
premio per la Comunicazione dell’Antico, un progetto del Parco
Naxos in collaborazione con Naxoslegge.
    A giorni, anticipa l’archeologo della Sapienza, alcuni
esponenti della Missione italiana torneranno per la prima volta
dal 2010 nel sito a Tell Mardikh, 55 chilometri a sud di Aleppo,
per mettere in sicurezza il frutto di 47 anni ininterrotti di
scavi e riprendere il lavoro là dove ci si era interrotti ormai
12 anni fa. “Per il ripristino dei cantieri serviranno almeno
tre anni, ma anche fondi adeguati”, avverte Matthiae, che dopo
essersi speso senza sosta per tenere viva l’attenzione sul
patrimonio culturale siriano ferito da guerre e terrorismo,
lancia ora un appello alla Sapienza di Roma e alla Farnesina
perché garantiscano “tutti gli stanziamenti necessari”. A Ebla,
racconta, lo scempio è cominciato nel 2014, quando i miliziani
di al-Qaeda si sono impadroniti del parco devastandolo con
tunnel, trincee e casermette “che hanno sconvolto il terreno
archeologico, soprattutto nella Città Bassa del grande centro
urbano antico costruito tra il 2500 e il 1600 a. C.”. Solo alla
fine del 2019 il governo di Damasco ha ripreso gradualmente il
controllo sul territorio e da allora i funzionari della
Direzione Generale delle Antichità e dei Musei (DGAM) si sono
dati da fare con eccezionale impegno per verificare i danni,
fotografando e documentando anche con i droni il grande ovale
che delinea i limiti di quella che 4mila anni fa è stata una
delle più potenti e prospere città stato del Vicino Oriente
antico.
    “La notizia buona è che il parco non è mai stato
bombardato”, assicura l’archeologo oggi ottantenne. Il disastro
però è consistente ed è per questo che la Missione romana sta
progettando quella che viene definita la “riabilitazione”
dell’area archeologica. Fra qualche giorno Frances Pinnock e
Davide Nadali, i due professori della Sapienza che guidano la
Missione insieme a Matthiae, saranno sul posto e cominceranno a
studiare i materiali messi in salvo nel Museo di Hama. Un primo
passo nella speranza che si possa poi organizzare una squadra
più ampia e riaprire il cantiere, che in passato si avvaleva
anche di 120 operai locali.
    Potente come la Accad di Sargon il Grande, temuta e
rispettata anche dai faraoni dell’Antico Regno, la siriana Ebla
è rimasta per millenni sepolta nel suo mistero. Eppure la sua
riscoperta è stata di quelle che cambiano la storia, soprattutto
dal 1975, quando gli scavi hanno riportato alla luce quasi
intatto l’Archivio Reale del 2350 a C., la sua fase più antica,
con 17 mila numeri di inventario di tavolette scolpite a
caratteri cuneiformi che costituiscono un tesoro inestimabile di
informazioni sulla cultura e sulla lingua, sui commerci, i
matrimoni, la giustizia, i rapporti con gli altri popoli amici e
nemici. In tutto originariamente 5mila testi, che in questi anni
di assenza dalla Siria la Missione italiana ha schedato,
studiato, pubblicato in larga parte. E che raccontano di un
regno potente e temuto, insediato in un’area nevralgica fra la
Mesopotamia e l’Egitto. Una città distrutta e rinata per tre
volte nell’arco di 900 anni, le cui mura abbracciavano un
perimetro di 50 ettari – poco meno di quella che sarà tanti
secoli più tardi Pompei – con palazzi, templi, tombe,
fortificazioni. E la cui riscoperta ha avuto tra l’altro il
merito di restituire alla Siria un’identità storica antichissima
di cui essere orgogliosa. “Un sito archeologico che avrebbe
ancora tanto da offrire”, sottolinea Matthiae, se si pensa che
ne è stato scavato solo il 10 per cento.
    Tant’è, negli anni di stop, gli esperti dell’Ateneo romano
si sono concentrati sullo studio e la pubblicazione dell’immensa
mole di testi cuneiformi e dei materiali archeologici, alcuni
preziosi e rarissimi, come una mazza iscritta con il nome di un
faraone di cui non era mai stato trovato un esemplare nemmeno
nelle ricchissime tombe egiziane. L’ansia, però, rimane per il
destino di molti di questi favolosi reperti, tra cui migliaia di
tavolette, conservate nel museo della vicina Idlib, ancora sotto
occupazione turca. Qui i saccheggi sono stati violenti: “Abbiamo
la certezza che almeno alcune tavolette sono state trafugate o
distrutte”, dice Matthiae. Un tesoro che per fortuna era stato
interamente fotografato e schedato, tanto che la documentazione
è già nelle mani dell’Interpol. Con un po’ di fortuna, chissà,
le tavolette potrebbero ricomparire sul mercato antiquario.
    Matthiae allarga le braccia e guarda avanti. “La cosa più
importante è che, dopo tanti anni di silenzio e distruzioni, per
Ebla sta iniziando la rinascita”. (ANSAmed).
   


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