Libia. «Navi da guerra italiane in Libia» Tobruk minaccia: pronti a reagire

navi da guerra italianeLE NAVI militari italiane più vicine erano a 50 miglia nautiche, ma il governo libico di Tobruk, quello riconosciuto dalla comunità internazionale, ha accusato tre unità della Marina militare di essere entrate nelle acque territoriali libiche. Un’accusa grave che l’Italia rimanda al mittente. «La notizia diffusa da fonti libiche circa la presenza ieri di tre navi italiane nelle acque territoriali libiche – afferma una nota del ministero della Difesa – è falsa. Tutte le navi militari italiane presenti nel Mediterraneo operano in acque internazionali rispettando i limiti stabiliti dai trattati». Punto.
In Libia la notizia circolava da sabato ma il comunicato ufficiale del governo di Tobruk ieri l’ha avvalorata, creando un caso. «Tre navi da guerra italiane – vi si afferma – sono entrate sabato, senza autorizzazione, in acque territoriali libiche. Condanniamo con fermezza la violazione e ribadiamo che non esiteremo a usare ogni mezzo per difendere la nostra sovranità». «Abbiamo alzato in volo una coppia di caccia Mig 23 – ha poi spiegato il capo dell’aviazione libica, Saqr Geroushi – che hanno sorvolato a bassa quota le tre navi militari italiane, in segno di avvertimento dopo che erano entrate nelle acque territoriali. Le navi si sono avvicinate alla costa nei pressi di Daryana, a 55 km da Bengasi, poi si sono dirette verso Derna e infine si sono allontanate».

SECONDI fonti di Tobruk, le navi italiane sarebbero il cacciatorpediniere
De La Penne, il pattugliatore Cigala Fulgosi e la fregata Fasan. Ma l’indiscrezione viene respinta nettamente da fonti della Marina, che confermano che le tre unità sono effettivamente a sud della Sicilia inquadrate nel dispositivo ‘Mare Sicuro’, ma si trovano tra le 50 e le 80 miglia dalle acque territoriali libiche, che, come previsto dalle convenzioni internazionali, sono a 12 miglia dalla costa.
Anche ipotizzando che l’accusa di violazione sia stata fatta utilizzando la modifica unilaterale voluta da Gheddafi, che aveva portato le acque territoriali a 72 miglia, questo non spiega le affermazioni libiche che parlano di navi italiane giunte «in prossimità della costa di Daryana». Non è quindi una questione di 12 o 72 miglia. Il punto vero è il piano Leon per il governo di unità nazionale. Dopo essere stato respinto da Tripoli, verrà discusso da oggi dal Parlamento di Tobruk. E la notizia, al pari del saccheggio del cimitero italiano e alla fantomatica uccisione di un trafficante di esseri umani fatta da forze speciali italiane, rientra nella stessa logica: criminalizzare gli italiani in modo da rafforzare chi non vuole l’accordo.

E CHI non vuole l’accordo ha un nome e un cognome, il generale Khalifa Haftar che comanda l’esercito libico e sarebbe emarginato nel futuro governo di coalizione nazionale. Saqr Geroushi è il suo braccio destro ed è con Abdurrahman Sewehli, Salah Badi e Abdularuf al Manaie componente di quella ‘banda dei cinque’ che la comunità internazionale è pronta a colpire con sanzioni mirate nel caso in cui il parlamento di Tobruk voti contro il piano Leon (al quale Ban Ki Moon ha riconfermato per ora la sua fiducia).
Con l’operazione di ieri Haftar e i suoi hanno lavorato per piantare un altro chiodo nella bara del piano di pace. E il fatto che l’operazione sia stata avvalorata da una nota del governo significa che il potere del generale è ancora ben forte.

IL CORRIERE DELLA SERA