L’Iran minaccia di chiudere Hormuz. Ecco cosa potrebbe succedere

L’Iran torna a minacciare la chiusura dello stretto di Hormuz come riposta alle ultime scelte degli Stati Uniti sulle sanzioni. Il governo iraniano è infatti tornato a paventare uno degli scenari più inquietanti per tutto il mercato petrolifero mondiale, la chiusura di quello stretto che permette l’esportazione non solo degli idrocarburi iraniani ma anche di tutti quelli del Golfo Persico. Una minaccia che ritorna ciclicamente e che è destinata a pesare (e molto) sulle prossime decisioni dei governi regionali e delle superpotenze impegnate in Medio Oriente.

“Non giocate con la coda del leone”

La possibilità di questo blocco è arrivata per bocca delle due figure più importanti del panorama politico iraniano: la guida suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, e il presidente, Hassan Rouhani. Il leader supremo ha dichiarato che, in caso di blocco alle esportazioni di petrolio iraniano, Teheran avrebbe fatto in modo di rendere impossibile le esportazioni di oro nero per qualsiasi altro Paese del Golfo. Non è stato specificato il mezzo usato: ma è chiaro che l’unica soluzione sarebbe chiudere quello spazio di mare che separa le terre iraniane dall’Oman.

Toni durissimi anche da parte del presidente Rouhani.”Non si può provocare il popolo iraniano contro la propria stessa sicurezza e interessi”, ha avvertito in un discorso trasmesso in televisione. “Abbiamo sempre garantito la sicurezza di questo stretto” ha detto il presidente, ricordano l’assoluta libertà di transito assicurata dal governo iraniano, ma “non giocate con la coda del leone, o lo rimpiangerete per sempre”, ha sottolineato il capo di Stato. E ha definito un possibile conflitto con l’Iran come “la madre di tutte le guerre”.

L’importanza di Hormuz

Lo stretto di Hormuz è uno dei choke-point fondamentali del mercato petrolifero mondiale, i cosiddetti “colli di bottiglia”. Per uscire dal Golfo Persico e giungere ai mercato asiatici ed europei, le petroliere devono per forza transitare attraverso quello stretto. Di fatto, l’Iran ha le chiavi per il controllo del traffico petrolifero mondiale. Le stime del 2012 dello Us Energy Information Administration (Eia) parlavano di un traffico nello stretto che rappresentava il 35% del commercio via mare di petrolio a livello mondiale. Il 20% del traffico petrolifero totale, incluso quello terrestre.

Il fatto che nel Golfo Persico siano presenti gli Stati che da soli posseggono circa la metà delle riserve mondiali di petrolio, fa capire meglio di ogni altro punto e dato il motivo per cui la chiusura di Hormuz è da considerare di fondamentale importanza. Se già le tensioni fra Paesi del Golfo ed Iran sono altissime, la chiusura di un porto da cui dipende un terzo del mercato mondiale di petrolio e soprattutto la sopravvivenza economica di tutti i Paesi della regione che esportano gas e oro nero,inciderebbe in maniera sensibile sulla fragile stabilità del Medio Oriente.

Non a caso, gli Stati Uniti non solo hanno sempre temuto la possibilità che Teheran decidesse questa soluzione drastica. Ma hanno basi in tutta la costa arabica del Golfo proprio per fare in modo che quel passaggio, anche in caso di escalation militare, sia sempre garantito. E infatti, in queste ultime settimane, il Pentagono è tornato a parlare di invio di navi da guerra vicino a Hormuz.

Uno scenario plausibile?

È difficile prevedere le scelte dell’Iran in questo delicato periodo di transizione geopolitica.Tendenzialmente, i governi iraniani hanno sempre minacciato la chiusura di Hormuz nei momenti di maggiore tensione con il mondo occidentale. Ma si sono spesso (e fortunatamente per tutti) fermati alle minacce senza azioni reali.

Come ricorda Ispi, “già nel2012 Teheran minacciò di chiudere lo Stretto in risposta al nuovo round di sanzioni Usa e Ue relative al programma nucleare iraniano. Tuttavia, anche dopo l’entrata in vigore nel luglio di quell’anno dell’embargo Ue sul petrolio, Teheran non dette seguito alla minaccia”.

Gli interessi iraniani, di fatto, impediscono allo stesso governo di chiudere lo Stretto. Farlo andrebbe contro la sua stessa possibilità di esportare petrolio e gas. Ma soprattutto andrebbe incidere sulla stabilità regionale, sulla credibilità politica ottenuta in questi anni e sull’economia di un alleato utilissimo come la Cina, che vive anche delle importazioni di energia del Golfo Persico.

Ma se tutto sembra andare verso una definizione del problema senza mosse rivoluzionarie di Rouhani, è anche vero che oggi viviamo in un’epoca diversa rispetto a qualche anno fa. La guerra all’Iran esiste, anche se per ora essa è fatta sotto forma di conflitti esterni (Siria e Yemen) e a livello economico. Ma l’Iran sta già subendo i risultati delle azioni di altri Paesi, Israele e Stati Uniti in testa.

La differenza di approccio fra l’attuale amministrazione di Donald Trump e del governo di Benjamin Netanyahu rispetto ai loro predecessori, così come la poca capacità politica dei leader europei, consegnano un quadro molto diverso del Medio Oriente. La speranza, ancora una volta, poggia sulla strategia iraniana di evitare azioni che facciano scattare l’offensiva israeliana e statunitense, con l’appoggio dei sauditi, ma anche che evitino di indispettire chi vive grazie a quel petrolio e che per Teheran sono partner fondamentali: Cina, India ed Unione europea.

Il Giornale.it