RISERVE che consentirebbero in pochi anni di raddoppiare la produzione interna, a circa 22,0 milioni tonnellate equivalente petrolio (tep), con una riduzione dell’esborso con l’estero in un decennio di 50 miliardi euro ed un aumento delle entrate fiscali dello Stato di 25 miliardi. In ogni angolo del mondo si sarebbe proceduto alla valorizzazione di queste riserve. Non in Italia, nella sua impossibilità ad essere un paese normale. Un’anomalia incomprensibile e inaccettabile. Incomprensibile: perché non vi sono oggettive ragioni per non riuscirvi in condizioni di massima sicurezza e tutela ambientale, nei vincoli di una legislazione tra le più severe al mondo, che ha imposto il blocco di ogni attività mineraria nelle ricche acque dell’Alto Adriatico o entro le 12 miglia dalle coste nazionali, compresa quella adriatica.
COL RISULTATO che ad approffittarne, nell’un caso e nell’altro, sarà la vicina Croazia, che ha deciso – sollevando l’indignata quanto grottesca protesta di molti nostri parlamentari – di mettere a gara una trentina di concessioni, in acque spesso a poche decine di metri da quelle italiane, così bevendo dal nostro stesso ‘bicchiere’.
Mentre ogni altro paese si affanna, in sostanza, a ricercare, scoprire, produrre, noi ci affanniamo ad impedirlo. Un solo dato: nel 2013 si sono perforati in attività esplorative — da cui dipendono future riserve e produzione — appena 1.000 metri contro le punte di 270.000 metri nel 1982! Un’anomalia inaccettabile: perché disporre di fonti di energia convenienti e affidabili è, sarebbe, per ogni Paese — specie il nostro — un’esigenza fondamentale. Opporsi, significa preferire che la nostra produzione — anziché accrescersi come possibile — prosegua il suo tendenziale declino: a livelli lo scorso anno sui 12,0 milioni di tep, circa la metà di quelli di due decenni fa.
AD IMPEDIRLO, al di là della scarsa consapevolezza della posta in gioco da parte della politica ed al suo rifiuto di assumersi ogni responsabilità decisionale, sta una malintesa idea di democrazia ove a tutti è consentito dir di tutto in un irrisolvibile scontro tra opposte fazioni che finisce per dare piena legittimità — questo è il punto — a un potere di veto che consente a ciascuno di impedire agli altri di fare, senza che nulla venga fatto. Da qui, il rifiuto pregiudiziale a ogni progetto: si tratti di un elettrodotto, termovalorizzatore, centrale elettrica, pozzo di idrocarburi. Da ultimo, del gasdotto che dovrebbe veicolare il metano dall’Azerbaijan alle coste delle Puglia, osteggiato dalle comunità e dalla politica locale perché minaccerebbe… l’accoppiamento delle tartarughe marine caretta-caretta!.
Ideologia e miopi calcoli della politica hanno finito per prevalere, impedendo quei sani compromessi che da sempre hanno consentito di fare un qualche passo in avanti e non di retrocedere come sta avvenendo.
IL RISCHIO è che, continuando così le cose, si impediscano opportunità di crescita del Paese e di territori a basso reddito; di sviluppo di un’intera industria, apprezzata in ogni angolo del mondo tranne nel nostro; che i copiosi capitali esteri — che a parole si vorrebbero attrarre — decidano di uscire, come va ahimè accadendo. Che si aumenti quella disoccupazione che è la più drammatica dimensione della nostra crisi. Il Resto del Carlino
