L’Italia vada subito al voto: vogliono già prendersi la Libia

All’apice di un clima sempre più teso nella maggioranza, Matteo Salvini ha dato ufficialmente il via alla crisi di governo. Prossimo passo, la votazione in Aula della mozione di sfiducia. Da quel momento – nell’assenza di una maggioranza alternativa – il governo rimarrà in carica solo per il “disbrigo degli affari correnti”. Ulteriori tempi tecnici saranno necessari per sciogliere le “vecchie” Camere,  indire nuove elezioni, convocare le “nuove” Camere e, infine, formare il nuovo Governo.

Una ritualità istituzionale che se in passato non creava particolare difficoltà in un mondo polarizzato dalla Guerra fredda – in cui i cambiamenti internazionali erano più lenti e graduali -, oggi, tra situazioni fluide e cambiamenti repentini, può rappresentare una grave limitazione per il nostro Paese, in particolare per la sua politica estera.

Concentrata su questioni interne, l’Italia rischia, in particolare, di perdere quel peso che ancora possiede in Libia. Per motivi di sicurezza e interessi energetici, infatti, il Paese nordafricano non può essere annoverato tra le questioni di “ordinaria amministrazione”, e chiede anzi risposte rapide, in sintonia con l’evoluzione del conflitto. Come ha dichiarato un diplomatico di lungo corso, “la politica estera non attende i tempi dei nostri regolamenti di conti interni: se non sei sul pezzo sei tagliato fuori”.

La fine del governo e le conseguenze sulla Libia

Per non parlare dell’impressione di “assenza” che l’Italia potrebbe lasciare nel Paese nordafricano. Il leader del Governo di Accordo nazionale libico, Fayez Al-Sarraj, – sostenuto da Roma – si è già detto preoccupato per quanto sta accadendo in Italia. Al-Sarraj teme, infatti, che la caduta del governo e la conseguente predominanza degli affari interni su quelli di politica estera non consentano a Roma di mantenere gli impegni presi in Libia.

Soltanto pochi mesi fa (maggio 2019), una delegazione di diplomatici e capi militati libici, guidata da Al-Sarraj, si era recata in visita a Roma chiedendo al governo un maggiore impegno nei confronti del governo di Tripoli “sostenuto dalle Nazioni Unite ma abbandonato dalla comunità internazionale”. In quell’occasione, il presidente Conte aveva garantito maggiori sforzi per raggiungere un cessate-il-fuoco nel Paese martoriato dalla guerra.

Negli ultimi tempi, il premier libico avrebbe trovato un importante alleatoanche nella persona del ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini. All’inizio di luglio, Al-Sarraj – senza prima passare da Roma – è volato direttamente a Milano per incontrarlo. Rilanciando la propria immagine di “partner chiave” per gli interessi italiani nel Paese mediorientale, il premier libico gli ha chiesto l’invio di forniture di armi e un maggiore intervento dell’Italia nel processo di pace libico.

La repentina caduta del governo suscita dunque timori a Tripoli, sulla possibile interruzione dei processi in atto e sul conseguente ridimensionamento del ruolo italiano in Libia. “I tempi istituzionali del nostro sistema” – fa notare il Generale Vincenzo Camporini, ex Capo di Stato maggiore della Difesa – “non sono più idonei a una gestione efficace delle dinamiche internazionali che negli ultimi decenni hanno subito una enorme accelerazione”. Quindi, “fino a quando non ci sarà un nuovo governo pienamente legittimato da un voto di fiducia del nuovo Parlamento, saremo in una posizione di assoluta vulnerabilità“.

Gli interessi italiani in Libia

L’Italia vanta relazioni di lunga data con la Libia. Colonia italiana tra il 1912 e il 1947, il Paese nordafricano è successivamente diventato di interesse cruciale per Roma, anche per il suo importante ruolo di fornitore di gas e petrolio. Con lo scoppio della prima guerra civile libica (2011), l’Italia è stato l’unico Paese membro dell’Unione Europea a opporsi alla condanna della repressione attuata dal governo del colonnello Muammar Gheddafi. Roma era contraria all’interferenza dell’Unione nel processo di transizione in corso nel Paese e ha spinto invece affinché la riforma costituzionale della Libia venisse promossa dal suo governo nazionale.

Oggi la Libia è devastata da una seconda guerra civile, scoppiata nel 2014, che vede contrapporsi il governo di Fayez Al-Sarraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite, e quello del generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica. L’Italia, che, insieme a Turchia e Qatar, sostiene il premier libico Al-Sarraj, ha tentato di assumere un ruolo guida nel processo di pace per la Libia, organizzando anche la Conferenza di Palermo “per e con la Libia” (novembre 2018) – un incontro che, pur non avendo portato a novità risolutive, ha costituito un passo verso la stabilizzazione della Libia.

Sono tanti gli interessi italiani in Libia. Dal punto di vista energetico, la Libia è un importante fornitore di petrolio e gas per Roma. Nel luglio scorso, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha incontrato a Tripoli Al-Sarraj per discutere i futuri piani di cooperazione e di sviluppo dell’azienda italiana in Libia. In questa occasione, le due parti hanno discusso anche il Wafa Inlet Gas Compression (Wigc), un progetto che contribuisce in modo significativo a sostenere il settore energetico libico.

In Libia sono presenti anche le missioni militari italiane di assistenza alla Guardia costiera e di supporto al sistema sanitario. Nei giorni scorsi, le forze italiane, con base a Misurata, hanno rischiato di essere colpite dai bombardamenti di Haftar. Le milizie del Generale Haftar hanno infatti centrato l’Accademia aeronautica di Misurata e la relativa base militare – a poca distanza dal luogo in cui si trovano le truppe italiane -, con lo scopo di colpire gli aerei cargo che dalla Turchia trasportavano armi e rifornimenti alle truppe di Al-Sarraj.

Italia e Libia sono legate a doppio filo anche per la questione dei flussi migratori. La situazione di instabilità in cui versa il Paese nordafricano lo ha reso un canale di passaggio per i migranti provenienti dal continente africano e diretti in Europa, in particolare in Italia. Secondo i dati del ministero dell’Interno, dal primo gennaio al 9 agosto 2019 sulle coste italiane sono sbarcati 4.042 migranti, un numero inferiore del 78,61% rispetto allo stesso periodo del 2018.

Per una crisi politica, l’Italia non può rischiare di perdere il suo peso politico in Libia, lasciando un vacuo che molti attori regionali – Egitto, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Qatar – e internazionali – Russia, Gran Bretagna e Francia – sono già pronti a colmare. Il Giornale.it