Faccia a faccia con Meriem Rehaily, la ragazza padovana che ha abbracciato lo Stato islamico
Da Camp Roj (Siria) “Voglio tornare in Italia, anche se dovrò andare in carcere”, dice convinta Meriem. Subito dopo aggiunge: “Almeno riabbraccio la mamma, che mi manca tanto…”. E scoppia a piangere.
Meriem Rehaily, 22 anni, jihadista della provincia di Padova di origini marocchine, è stata condannata il 12 dicembre a quattro anni per aver aderito allo Stato islamico.
Dallo scorso anno l’abbiamo data per morta lapidata dagli stessi tagliagole dell’Isis o addirittura rientrata clandestinamente in Europa. In realtà è prigioniera dei curdi da sei mesi.
Non è stato facile incontrare la latitante rincorsa da un mandato di cattura internazionale nel campo off limits di Roj. Una tendopoli in mezzo al nulla nel nord est della Siria sorvegliata dall’intelligence curda dove sono in custodia un migliaio di mogli dell’Isis con i loro bambini.
Meriem è avvolta dal niqab che le lascia libero solo il volto con la pelle ambrata. “Sono una terrorista per il governo, ma in Italia non ho fatto niente. Dall’Isis ho subito un lavaggio del cervello. – spiega Meriem – Prima vivevo come una normale adolescente che andava a scuola e usciva con gli amici. Poi ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovata in Siria”.
L’italiano l’ha imparato a scuola ad Arzergrande in provincia di Padova. Da questo piccolo comune di 5mila anime è partita per la Siria nel luglio 2015 a soli 19 anni. “Mi ha attirato su internet Abu Dujana al Homsi, un giovane siriano che mi contattava via Telegram su una chat segreta – racconta la jihadista padovana – Voleva sposarmi, ma ho rifiutato. Poi ha cominciato a dire che dovevo andarmene dall’Italia e raggiungere il Califfato perché Allah lo vuole”.
L’adescatore è stato ucciso all’inizio della battaglia di Raqqa del 2017. Tre anni fa, prima di imbarcarsi all’aeroporto di Bologna per raggiungere la Turchia, la giovane Meriem postava il giuramento di fedeltà al Califfo Abu Bakr al Baghdadi. Ed inviava a casa questo messaggio: “Scusa cara mamma ci vediamo in paradiso. Tutti per Allah”.
Alle amiche e compagne di scuola mandava proclami ben più accesi: “Se mi chiamate terrorista ne vado fiera! Meglio vivere qui (a Raqqa, nda) che vivere tra di voi kuffar… kuffar! (infedeli, nda)”.
Abile con il computer, secondo gli investigatori del Ros di Padova, era stata arruolata dall’Isis per la propaganda e la logistica nella brigata al Khansa composta da donne europee e russe. “Non è vero – si difende Meriem – ma all’inizio ho fatto l’hacker per l’Isis“.
Nella storica capitale del Califfato, Meriem si rende ben presto conto che l’avventura delle bandiere nere si sta trasformando in un incubo. “Ho visto il vero Isis e non è lo Stato islamico che credevo – spiega adesso la jihadista – L’orrore dei bombardamenti (alleati, nda) mi terrorizzava. Quando ho aperto gli occhi era troppo tardi”.
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