L’Oms: «Insaccati cancerogeni» Ma gli oncologi: niente allarmismi

salumiL’ORGANIZZAZIONE mondiale della sanità lancia l’allarme sul consumo di carne rossa e, in modo particolare, sugli insaccati che nella tabella delle sostanze più pericolose vengono associati alla categoria che accoglie già fumo e alcol.
Le organizzazioni di allevatori e produttori reagiscono e prendono le distanze parlando di quantità di consumi non equiparabili tra i nostri connazionali e altri popoli, come gli americani, per esempio. Gli specialisti reagiscono e, in particolare, gli oncologi ridimensionano. Gli animalisti, infine, chiedono al ministero della Salute di disporre l’etichettatura delle carni con le diciture di avvertimento come i pacchetti di sigarette: «Nuoce gravemente alla salute».

NEL mezzo è inevitabile che i consumatori si ritrovino confusi. Ma l’avvertimento viene da una fonte qualificata: l’Oms e in particolare dalla sua agenzia per la ricerca sul cancro (Iarc). Il rapporto sarebbe stato stilato sulla base di circa 800 studi per verificare il legame tra una dieta che comprende proteine animali e il cancro. Al termine di queste ricerche le carni «lavorate» – hot dog, carni in scatola, prosciutto per citare gli esempi impiegati – sono state inserite nel Gruppo 1, la stessa categoria di rischio di alcol, fumo, benzene, naftalina e farmaci come la ciclosporina. Il tutto mettendo in relazione queste sostanze direttamente con il cancro del colon retto. La carne rossa, nella cui categoria l’Oms inserisce anche il maiale, il vitello e altri prodotti, è nel Gruppo 2A con connessioni ipotizzate con il tumore del colon retto, del pancreas e della prostata.

FIN QUI le rivelazioni internazionali che, però, vengono prese con cautela dagli oncologi. In particolare Carmine Pinto, presidente dell’Associazione italiana oncologi (Aiom), secondo il quale il dito puntato contro gli insaccati dipende dalla presenza di nitrati e nitriti. «Ma si tratta – dice il medico – di studi vecchi, oggi questi conservanti tossici vengono usati molto di meno». «Poi – insiste Pinto – sulla carne rossa non c’è certezza sugli studi epidemiologici. E, ovviamente, dipende dalla quantità. Non si può dire che la carne rossa fa male come il fumo. C’è un equilibrio che va mantenuto». Equilibrio, consumi modesti, assenza di sostanze tossiche, poco grasso. Sono gli elementi sui quali si ancorano i ragionamenti di Assocarni e Assica, associazioni di industriali delle carni e dei salumi.

«GLI allevamenti italiani producono carni migliori di quelle di altri Paesi» e ricordano come il settore rappresenti il 10-15% del Pil, pari a circa 180 miliardi di euro. Il Consorzio del prosciutto di Parma, da parte sua, rivendica l’assenza di qualsiasi additivo nei suoi prodotti. La preoccupazione di ricadute è evidente e il ministro Beatrice Lorenzin se ne fa portavoce invitando a evitare allarmi esagerati: «Ho chiesto un parere al Comitato per la sicurezza alimentare». Grande attenzione viene manifestata anche a livello europeo mentre Lav ed Enpa, associazioni animaliste, chiedono che siano ritirate dal mercato le carni ritenute «pericolose».
La polemica arriva fino al Parlamento, dove Michela Vittoria Brambilla di FI sollecita il governo a muoversi per promuovere regimi alimentari alternativi. E anche nel Pd c’è chi pretende un approfondimento come Nicodemo Oliviero.

IL CORRIERE DELLA SERA