“Non accetto di essere umiliato così e non accetto che lo sia il Movimento. Conte è un premier terzo, io sono il capo politico del M5S che deve entrare nell’esecutivo come vicepremier”. Luigi Di Maio telefona a Nicola Zingaretti. La chiamata arriva alle 22.30 quando il segretario del Pd aveva già fatto un sospiro di sollievo dopo aver dato il via libera a un Conte bis, durante la prima giornata delle consultazioni. E invece si sbagliava, Di Maio rincara la dose e presenta il suo aut aut: “O io vicepremier o salta. Vi ricordo che c’è anche la votazione su Rousseau”. Zingaretti quasi pensa a uno scherzo, poi – spiega Il Corriere -capisce che il leader grillino fa sul serio: “Senti, Luigi, parlane con Conte. Mi dici che salta tutto? Bene, io domani mattina ho la Direzione del partito, la gran parte dei membri è qua nei dintorni. Significa che me li chiamo subito e dico loro che tu non ci stai più“. E il voto su Rousseau “è uno sgarbo istituzionale” al capo dello Stato.
La testardaggine di Di Maio fa pensare ai dem che abbia ancora un filo di dialogo con Salvini oppure, chissà, che i pezzi da novanta della Difesa stiano facendo pressione per non averlo neanche a quel ministero. Sia come sia, quel “attenzione, salta di nuovo tutto” passa di telefono in telefono. Quella che sembrava un’alleanza quasi fatta e finita, risulta invece molto più complessa di quanto si pensasse. D’altronde se litigano solo sulle poltrone, non arriveranno mai a vedere la luce in fondo al tunnel. Libero