
Indipendentemente dall’esito della verifica di maggioranza al Senato, Giuseppe Conte sta proiettandosi per immaginare il suo futuro esecutivo dopo l’uscita dei ministri di Italia Viva e iniziare un lungo e duro round negoziale.
Sia che le forze di maggioranza attirino nuovi esponenti politici alla Camera e al Senato, sia che la compagine renziana resti decisiva con la sua astensione per il governo Conte II sia che si costituisca un governo Conte III con una nuova formula è chiaro che molte caselle nell’esecutivo cambieranno titolari. E in caso di allargamento del perimetro le forze rimaste a sostegno del governo (Movimento Cinque Stelle, Partito Democratico, Liberi e Uguali) dovranno fare ampie acrobazie per trovare una quadra tra i vari ministeri e sottosegretariati.
La partita più scottante è quella sui servizi segreti. Giuseppe Conte parlando alla Camera ha annunciato la sua intenzione di nominare un’autorità delegata per il coordinamento dei servizi italiani. Un apertura a richieste pressanti dei membri della maggioranza, Iv compresa, e a ridurre i personalismi sul dossier intelligence che però Conte non ha mancato di ricordare essere una sua facoltà. Cosa peraltro vera ai sensi della legge quadro del 2007 che dà a Palazzo Chigi ampi poteri di scrutinio sull’attività dei servizi.
Ebbene, Conte vuole entrare a gamba tesa nelle trattative per il rimpasto di governo con questa azione. Tanto che i nomi prospettati per la delega dell’autorità, da inserire nel governo sotto forma di sottosegretario o ministro senza portafoglio, sono tutti ascrivibili all’elenco dei fedelissimi del premier, deciso a non cedere la sua influenza politica sugli apparati. Affari Italiani ieri parlava del prefetto Gennaro Vecchione, direttore del Dis; Il Messaggero, oggi, rilancia con Mario Turco, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli investimenti e senatore pentastellato, o Roberto Chieppa, attuale segretario generale di Palazzo Chigi. La Verità sottolinea che anche il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese potrebbe essere un profilo adatto, risultando gradita anche al Quirinale, e che anche il capo di gabinetto del premier, Alessandro Goracci, avrebbe delle possibilità.
Un arrocco vero e proprio, quello di Conte, che vedrà aprirsi di fronte a sè scenari complessi a seconda del futuro perimetro della maggioranza e dell’eventuale necessità di salire al Colle per ottenere un re-incarico e dar vita al suo terzo esecutivo. Una mossa che dovrà essere compensata da un’apertura agli appetiti dei partiti della maggioranza e dei possibili nuovi sostenitori su altri fronti.
Corsa al rimpasto
Come sottolinea Il Messaggero, “Le altre tre caselle lasciate disponibili a seguito delle dimissioni delle ministre” renziane Teresa Bellanova e Elena Bonetti e del sottosegretario Ivan Scalfarotto, “finiranno nella trattativa per allargare la maggioranza” che seguirà alla fiducia in Senato.
La senatrice Udc Paola Binetti ha negato oggi di voler puntare al ministero della Famiglia lasciato libero dalla Bonetti e ribadito il suo momentaneo no alla fiducia al governo, ma resta un nome caldo per questa delega senza portafoglio. Saverio De Bonis, senatore eletto col Movimento Cinque Stelle e poi transitato nel gruppo del Movimento Associativo Italiani all’Esteri, è stato indicato come possibile successore della Bellanova all’Agricoltura in caso di successo dell’operazione “responsabili”. Se così fosse, diverrebbe il primo ministro della storia del Maie, che dai tempi del governo Conte I esprime il sottosegretario agli Esteri Riccardo Merlo.
La presenza di queste trattative conferma che una probabile fiducia al governo Conte II con maggioranza semplice aprirebbe lunghe e complesse trattative per ampliare la pattuglia al Senato offrendo posizioni di governo ai potenziali aderenti. E le trattative avrebbero portata più ampia se parte del rimpasto avverrebbe con lo spostamento di alcune figure da una posizione all’altra: pensiamo ad esempio all’eventualità che Lamorgese ottenga la delega ai servizi e lasci vacante il Viminale. In caso di ricucitura con Italia Viva, una settimana fa si prospettava proprio uno scenario del genere, con il ministero degli Interni affidato al titolare della Difesa, Lorenzo Guerini, sostituito nel ruolo dal renziano Ettore Rosato.
Il governo-Lego
Chiaramente la chiusura a Iv complicherebbe un piano di questo tipo e porterebbe i giallorossi a dover prendere in considerazione la strategia dello spacchettamento già posta in essere un anno fa dopo le dimissioni dal governo del minsitro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti: Conte affidò allora la titolarità dell’Istruzione ordinaria a Lucia Azzolina (M5S), garantendo l’Università e la Ricerca al rettore Gaetano Manfredi. Se il risiko dei ministri dovesse coinvolgere anche figure in bilico come la titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola de Micheli (Pd), è probabile che uno schema del genere si possa ripetere.
Analogamente, Vincenzo Spadafora (M5S) potrebbe cedere una delle sue deleghe da ministro dello Sport e delle Politiche giovanili. E non dimentichiamo che Conte ha potenzialmente in mano diverse deleghe da assegnare: Elena Bonetti gli ha riconsegnato quelle per famiglia e pari opportunità, e dalla fine del governo Conte II non sono più state assegnate quelle per le politiche a sostegno delle misure contro la disabilità detenute nel precedente esecutivo dai leghisti Lorenzo Fontana e Alessandra Locatelli.
Il governo diverrebbe all’occorrenza dunque come una costruzione di Lego, dove un mattoncino può essere sostituito da due aventi come somma la medesima dimensione, scomponibile e ricomponibile a piacimento. Premessa di tutto questo dovrà necessariamente essere un decreto capace di consentire una deroga al numero dei posti di governo regolati dalla legge Bassanini e fissato in 65 unità. Il rischio maggiore in questa prassi è che eccessivi spacchettamenti e ridimensionamenti delle autorità e delle competenze riducano coordinamento e capacità d’azione su materie di forte valenza e rilevanza per il sistema-Paese. Sacrificare la residua capacità di azione e programmazione e introdurre ministeri potenzialmente concorrenti, e non più complementari, tra di loro, rischia di penalizzare l’azione del Paese nel pieno delle scelte per la risposta ai danni della pandemia. E questo i giallorossi sembrano non considerarlo mentre Conte mira unicamente a consolidarsi o a succedere a sè stesso distribuendo cariche e deleghe in cambio di possibili consensi in Parlamento.
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