L’ultimo privilegio

Non c’è dubbio che la decisione della Consulta di giudicare ammissibili cinque dei sei referendum sulla giustizia offre una grande occasione: se i cittadini diranno «sì» ai quesiti si potrà davvero scrivere la parola fine su un’epoca. Sarebbe il segno evidente del passaggio dalla fase del giustizialismo più becero, definiamolo del Terrore, al ritorno ad una normalità in cui i magistrati non si improvvisano politici, i giudici fanno i giudici e i Pm tornano ad essere Pm: la normalità del Termidoro. E, come avvenne allora, quando, per chiudere la fase più cruenta della Rivoluzione francese, i giacobini furono mandati al patibolo, anche oggi per fare i conti con la falsa Rivoluzione italiana, c’è stato bisogno che i protagonisti di un certo modo di indossare la toga – da Ingroia a Davigo, a De Pasquale – finissero alla sbarra. Per capire quelle migliaia e migliaia di cittadini che si sono sentite vittime di un’inchiesta o di una sentenza sbagliata, infatti, anche loro dovevano provarlo sulla propria pelle.

Dico questo non per spicciola retorica «garantista» ma per spezzare una lancia in favore dell’unico quesito che purtroppo non è stato ammesso: quello sulla responsabilità civile dei giudici. Sarebbe stato molto meglio se anche questo referendum avesse superato il vaglio della Corte perché un magistrato per esercitare bene la sua missione nella società (perché di questo si tratta) deve essere messo – e sentirsi – nei panni di un cittadino comune di fronte alla giustizia. Come capita ad un medico, ad un ingegnere, ad un fiscalista, ad un artigiano o all’esponente di una qualsiasi altra categoria, financo ad un politico. Deve essere premiato per i meriti e deve pagare per gli errori. In prima persona, come tutti gli altri. E non nascondersi dietro lo Stato, come prevede il meccanismo con cui si è aggirato un altro referendum sullo stesso tema che ha ricevuto il «sì» degli italiani. Deve mutare, insomma, la mentalità con cui un magistrato si rapporta ad un indagato, ad un imputato: un cittadino che non ha solo presunte colpe ma anche diritti. Perché, diciamoci la verità, una toga che si sente onnipotente e irresponsabile delle proprie azioni ci mette poco a prendere la tangente e a pronunciare frasi del tipo (citazione di Davigo): «Non esistono politici innocenti ma colpevoli su cui non sono state raccolte prove».

Purtroppo la Consulta non ha avuto il coraggio di pronunciare quell’ultimo sì. E la valutazione deve essere stata politica o di opportunità, visto che non possono esserci state riserve sul testo rispetto ad un quesito che fu già ammesso e addirittura approvato dagli italiani diverse decadi fa. È l’ultimo privilegio lasciato alla «casta» che fa il bello e il cattivo tempo in Italia, l’unica che davvero conta, e che ha soppiantato la «casta» dei politici (pavida) nel nome di Tangentopoli – ormai è preistoria – trent’anni fa.


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