Madri che uccidono i figli: il fantasma di Medea

Le motivazioni che possono portare una donna all’atto estremo di uccidere il proprio figlio sono diverse. “Nella maggior parte dei casi – spiega la dottoressa Giacchetti – avviene in presenza di una grave patologia come la depressione con caratteristiche psicotiche. La donna si sente intrappolata in una relazione vissuta in modo delirante in cui prevale un vissuto di disperazione ed inadeguatezza e l’agito rimane l’unica soluzione per salvare il proprio figlio da un mondo di sofferenza. Talvolta l’uccisione del figlio si accompagna al suicidio della mamma (together forever). Gli agiti violenti si possono verificare anche in altre condizioni psicotiche, laddove il bambino viene investito da angosce persecutorie.o qualora emergano elementi dissociativi (raptus) anche in donne che apparentemente non avevano una franca patologia psichiatrica. Esiste, tuttavia, una motivazione “altruistica”, non psicotica, una sorta di eutanasia, che è determinata dalla presenza nel bambino di una grave forma di malattia, per lo più non curabile”.

Ci sono poi i casi di vendetta contro il partner, la cosidetta “sindrome di Medea”: l’uccisione del figlio “avviene per procurare dolore ad un partner da cui si è stati traditi. L’agito può verificarsi anche quando il bambino è frutto di una violenza o comunque di una gravidanza non desiderata, il più delle volte di paternità incerta, in cui la donna vive angosce claustrofobiche o una profonda ostilità nei confronti del figlio”, afferma Giacchetti.

In alcuni casi, tuttavia, apparentemente il bambino muore per una “semplice dimenticanza” da parte del genitore: la Forgotten Baby Syndrome (FBS) oppure per “incidente”, la cosiddetta fatal battered child syndrome: il bambino muore senza che vi sia l’intenzionalità da parte del genitore che questo avvenga ma di fatto il bambino viene posto in condizioni ambientali potenzialmente pericolose che esitano nella morte”.


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