Dal 2006 al 31 ottobre 2014, “sono 2.060 i giornalisti minacciati dalle mafie, con un costante incremento che ha registrato il suo picco nei primi dieci mesi dell’anno scorso, 421 atti di violenza o di intimidazione, quasi tre ogni due giorni”. A denunciarlo e’ la Relazione (approvata stamattina all’unanimita’) del Comitato della Commissione parlamentare antimafia dedicato a “Mafia, giornalisti e mondo dell’informazione”. Oltre 80 pagine fitte di numeri, testimonianze e vicende spesso poco conosciute, in cui si stigmatizza anche la sostanziale “impunita’” di certi comportamenti: “pochissimi – si legge nella Relazione – gli episodi in cui gli autori di minacce o violenze siano stati identificati, giudicati e condannati”. Accanto ai metodi piu’ diretti e, spesso, brutali, la Relazione sottolinea “il ricorso sempre piu’ frequente ad un uso spregiudicato e intimidatorio di alcuni strumenti del diritto”, in primis le querele e le azioni civili per danni “dove la temerarieta’ e’ solo apparente, visto che in questi casi l’obiettivo dell’azione giudiziaria contro il giornalista e’ quello di indurre quel giornalista a comportamenti e scritture piu’ ‘rispettosi'”. Milena Gabanelli, ad esempio, ha raccontato al Comitato di aver ricevuto citazioni in giudizio per oltre 250 milioni di euro (137 da una sola multinazionale della telefonia) a fronte di una sola causa persa per 30 mila euro. Ne’ va sottovalutata la “violenza piu’ subdola, ma non meno dolente, che si manifesta attraverso le condizioni di estrema precarieta’ contrattuale e economica di quasi tutti i giornalisti minacciati”. Molti di loro, “a fronte di un devastante repertorio di intimidazioni (pallottole per posta, auto bruciate, minacce verbali) hanno ammesso di lavorare per pochi euro ad articolo, spesso senza contratto e con editori raramente disponibili ad andare oltre a una solidarieta’ di penna e di facciata”. Un altro aspetto del problema indagato dalla Commissione attraverso 34 audizioni e’ quello dell’informazione “contigua, compiacente o persino collusa con le mafie. Perche’ se e’ vero che gli episodi di compiacenza a volte sono il prodotto delle minacce subite, e’ pur vero che esiste un reticolo di interessi criminali che ha trovato in alcuni mezzi di informazione e in alcuni editori un punto di saldatura e di reciproca tutela”. Non solo: “accanto a un numero crescente di giornalisti minacciati – accusa il Comitato – sopravvivono alcune sacche di informazione reticente. Di editori attenti a pretendere il silenzio delle loro redazioni su fatti o nomi ‘innominabili’. E di direttori che si prestano a sorvegliare, condizionare o redarguire quelle redazioni. Casi poco numerosi, per fortuna, ma non del tutto isolati”.
“Il dato positivo – conclude la Relazione – e’ la determinazione con cui una nuova generazione di giornalisti ritiene che la funzione etica del loro mestiere non possa essere svilita da condizioni di lavoro a volte umilianti ne’ dai rischi, dalle minacce, dall’isolamento. Giornalisti poco conosciuti, schivi, generosi, determinati”, che continuano a svolgere quotidianamente il loro lavoro e che sono i piu’ degni eredi degli 11 uccisi nel nostro Paese (9 proprio dalle mafie).
“La Relazione – ha ricordato Rosy Bindi, presidente della Commissione antimafia – e’ il frutto di due anni di lavoro, ed e’ la prima volta nella storia della Commissione che viene fatta un’indagine di questo tipo. Ma e’ un tema su cui continueremo a tenere alta l’attenzione perche’, purtroppo, la lista degli giornalisti minacciati si allunga ogni giorno.
Saviano? Non ha raccolto l’invito ad essere ascoltato, ma bisogna anche ricordare che vive buona parte dell’anno negli Usa. Del resto lui, come Milena Gabanelli, sono persone in prima linea, che fanno un lavoro straordinario di cui siamo debitori ma la Relazione e’ dedicata a tutti i cronisti, ed e’ importante che vi si trovino nomi poco noti, non alla ribalta, cronisti che magari vivono sotto scorta (attualmente una ventina, ndr) , senza contratto per questo piu’ fragili”. Anche Claudio Fava, vicepresidente della Commissione, coordinatore del Comitato su mafia e informazione, ha sottolineato il ruolo dei freelance, “professionisti che in altri Paesi sono figura centrale dell’informazione e che da noi lavorano senza alcuna tutela professionale, magari per 3 o 4 euro a pezzo, lontano dai riflettori e alla periferia dell’impero, vittime di intimidazioni di ogni tipo. Non aver ancora normato contrattualmente la loro figura e’ una lacuna grave, cui deve essere posto rimedio al piu’ presto”
Fonte: TGCOM